Come per un effetto domino esplosivo, in pochissimo tempo abbiamo sentito parlare di Brasile, Colombia, Venezuela, Cile, Messico, Bolivia, tutti paesi sudamericani colpiti incessantemente da disordini economici, politici e sociali. Sono però due, per il momento, gli Stati sotto i riflettori della comunità internazionale: il Venezuela, con la sua crisi presidenziale e umanitaria; il Cile, nel quale il Presidente – per rispondere ai movimenti di protesta – ha dichiarato lo stato di emergenza per la prima volta dopo l’era di Pinochet.
Questi due paesi hanno una storia molto diversa, sebbene sempre travagliata, ma sono molti i punti tra loro in comune. Tra i principali, il primo è l’ingerenza nordamericana nei rispettivi affari politici interni che, oggi come ieri, non accenna a diminuire; il secondo è che il Venezuela, così come lo era il Cile di Allende, è uno dei pochissimi Stati latinoamericani a non avere ancora oggi basi militari americane sul proprio territorio nazionale.
Il Venezuela è un paese sfiancato da una annosa crisi economica, politica, sociale ed umanitaria in conseguenza della quale il processo democratico appare indelebilmente compromesso. Il Fondo Monetario Internazionale parla di “totale collasso dell’economia e di iperinflazione del 10.000.000% prevista per il 2019”. È ad oggi, infatti, il paese con il tasso di inflazione più alto al mondo. Nicolas Maduro è il Presidente, sostenuto dai militari ed eletto nelle elezioni – subito contestate dall’opposizione – del maggio 2019; mentre Juan Guaidò, personaggio sconosciuto fino all’anno passato, si è autoproclamato Presidente ad interim dell’Assemblea Nazionale ed è stato riconosciuto da 54 Stati. Ciò che è importante notare in questa caotica situazione è la drastica diminuzione del petrolio come voce di introito economico nazionale. Stesso dicasi per le importazioni dei beni fondamentali, il cui crollo ha provocato la più grande scarsità mai vista finora nel paese.
La spirale discendente è iniziata nel 2015 con l’Ordine Esecutivo 13692 per mezzo del quale Obama decretò che il Venezuela “costituisce una minaccia insolita e straordinaria per la sicurezza nazionale e politica estera degli Stati Uniti”. Trump ha successivamente rinnovato, esteso ed inasprito le sanzioni economiche apposte dai governi precedenti – non approvate dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu – ma motivate dalla violazione inaccettabile dei diritti umani e delle libertà fondamentali da parte del dittatoriale governo venezuelano. Tra le aspre si menzionano: quelle imposte sulla compagnia petrolifera nazionale, la PDVSA; il blocco finanziario sulle esportazioni agricole, mediche e di generici prodotti commerciali; il congelamento dei beni venezuelani all’estero; ed il blocco sui prestiti internazionali. Le sanzioni statunitensi si estendono anche su qualsiasi persona o azienda non statunitense che negozi con un’istituzione pubblica venezuelana. Con l’Ordine Esecutivo 13827 del marzo 2018, vengono proibite anche le transazioni e l’uso della cripto-valuta, ovvero la moneta digitale con la quale il governo statunitense teme che il Venezuela possa eludere le sanzioni e/o destabilizzare l’egemonia del Dollaro. Di notevole importanza, sebbene globalmente ignorato dai media di massa, è il rapporto del Relatore Speciale delle Nazioni Unite, Idriss Jazairy, sull’impatto negativo delle misure coercitive unilaterali sul godimento dei diritti umani. In questo documento si rileva che le sanzioni riducono lo Stato venezuelano all’impossibilità di pagare debiti ed importazioni in modo tale da far sì che la fame e le gravissime carenze mediche che inducono la popolazione a malcontento e disperazione, possano essere strumentalizzate come arma di pressione politica per accelerare il cambio di governo.
Il Venezuela – che vive per il 95% di esportazioni petrolifere e che ha basato tutta la sua economia sull’industria di oro nero – intrattiene con gli Stati Uniti più di un terzo delle sue relazioni commerciali. A livello internazionale, oltre alla Russia – dalla quale ha iniziato recentemente ad acquistare armi ed aerei – ha intessuto forti relazioni con Cuba, Ecuador, Bolivia e, fuori dal continente, Cina e Iran. Tutti governi apertamente anti-imperialisti. Per tutti questi motivi e per la sua posizione geografica strategica, il Venezuela è percepito come una minaccia domestica di notevole portata geopolitica e geo-economica. Non a caso il Presidente statunitense Trump ha più volte minacciato il ricorso ad una “possibile opzione militare”, giustificata dalla crisi umanitaria. Questa retorica militarista, che tralascia le limitazioni alla minaccia dell’uso della forza, è sicuramente un retaggio della Guerra Fredda, nel contesto della quale si cercava di prevenire con ogni mezzo l’espandersi del socialismo e del comunismo nel “cortile di casa”.
Spostandosi in Cile, ritenuto un’isola di benessere nel subcontinente, nell’ottobre 2019 è esplosa una rivolta sociale causata, secondo fonti ufficiali, da un aumento del 4% sul prezzo del biglietto della metropolitana. Il reddito pro-capite cileno è tuttavia il più elevato tra tutti i suoi Paesi vicini, il suo PIL in crescita, l’inflazione contenuta ed il debito pubblico molto basso. Oltretutto, secondo l’Indice di Corruzione Percepita, risulta essere uno dei paesi meno corrotti al mondo. Ciò che ha realmente infuocato il Cile, dunque, è stata la diseguaglianza nella distribuzione del reddito e la mancanza di un sistema di welfare adeguato allo standard del Paese. Piñera, conservatore di centro-destra, porta avanti la politica economica post-Allende: il modello neoliberista del capitale privato e dei grandi gruppi industriali, appoggiando le potenze straniere come gli Usa che facilitano le sue esportazioni di rame di cui è il maggiore produttore mondiale.
In questo quadro, risulta di fondamentale importanza scorgere alcune somiglianze che legano la caduta del Presidente socialista Salvador Allende in seguito al golpe del 1973 con ciò che sta succedendo oggi in Venezuela: la prima è legata al fatto che la drammatica crisi istituzionale, politica, economica e sociale che colpì il Cile, fu il risultato della politica nordamericana dedita alla lotta contro ogni forma di comunismo o presunto tale; la seconda è legata all’entità e all’impatto delle sanzioni economiche sulle economie dei due paesi; la terza risiede nell’immagine che i media internazionali dipingono del Presidente Maduro che, al di là di ogni preferenza politica, viene descritto come un tiranno dittatore.
Per quanto riguarda la prima, il Cile infatti sarebbe divenuto un pericolo per la sicurezza nazionale, non tanto per le sue alleanze quanto per l’influenza ideologica che poteva esercitare dentro e fuori dal subcontinente. A tal proposito, alle porte del 2000 furono desecretate dagli archivi del Dipartimento di Stato americano e della CIA oltre 25.000 pagine di documenti relativi agli anni del golpe militare che hanno portato alla luce le reali responsabilità statunitensi nell’organizzazione del caso. Allora gli Stati Uniti si mossero su tre fronti: politico, economico-finanziario e propagandistico. Basandosi su continue concessioni di fondi da elargire ai partiti e ai mezzi di comunicazione d’opposizione, si puntava ad indebolire la coalizione di Allende e a sostenere una continua critica al governo denunciandone una deriva antidemocratica. La finalità era quella di evitare il consolidamento del governo cileno e limitarne le politiche contrarie agli interessi statunitensi nell’emisfero. Le manovre economico finanziarie, però, furono le più pesanti e rappresentano la seconda grande somiglianza. È del 15 settembre 1970 l’ordine di Nixon alla CIA di “far urlare l’economia del Cile”; allora, infatti, un grande blocco finanziario piegò il Paese, legato agli Stati Uniti sia dal capitale straniero presente all’interno di molte delle sue industrie sia in quanto grande partner commerciale. Il prezzo del rame, materia prima della sua economia, crollò e la finanza internazionale bloccò la concessione di prestiti allo Stato. Il risultato, sommato ad un’inflazione alle stelle che nel ’73 raggiunse il 400%, fu lo scatenarsi di disordini e di grandi manifestazioni di piazza. La terza somiglianza sta nel fatto che, dopo la vittoria di Allende, l’opposizione dichiarò incostituzionale la sua elezione. Il suo governo fu accusato di aver instaurato un “regime totalitario” sebbene gli Stati Uniti continuassero ancora a finanziare sia i media – per perpetuare uno stato di allarmismo – sia le forze estremiste per colpire il governo dall’interno e legittimare il colpo di stato.
Oggi, anche l’economia venezuelana sta gridando e l’opposizione a Maduro inneggia ad un intervento militare esterno che risolva lo stato di caos. Forse tra 50 anni il Dipartimento di Stato americano renderà pubblico il perché.
A cura di Isabella Noci
Note:
[1] Cfr. Mori Antonella, “L’esplosione del Cile”, 22 ottobre 2019, ISPI. https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/lesplosione-del-cile-24230?gclid=CjwKCAiA5JnuBRA-EiwA-0ggPXBdYqifuNdwXTvPvVCMv6ONkFn3PnOUg8khPiyu0dcUGWCB7DYpMxoC0BkQAvD_BwE.
[2] Zanatta Loris, “Storia dell’America Latina contemporanea”, Editori Laterza, 2010.
[3] Cit. in Ibidem.
[4] Secondo le stime della Banca Centrale Venezuelana, le esportazioni di petrolio sono crollate da 1.718 milioni di Dollari del 2013 a 690 milioni nel 2018.
[5] Crollate da 44 milioni a 5.835 milioni di Dollari.
[6] Cfr. Fontanelli Renata, “Venezuela: diritti ed economia in caduta libera nel Paese di Maduro”, 21 giugno 2019.
[7] Ciò sarebbe probabile se la cripto valuta venisse adottata in seno all’Opec di cui il Venezuela ha quest’anno la Presidenza.
[8] A/HRC/39/47/Add.1, “Report of the Independent Expert on the promotion of a democratic and equitable international order on his mission to the Bolivarian Republic of Venezuela and Ecuador”, 39°session, 10-28, September, 2018.
[9] Cfr. Eric Bakke, “US-VENEZUELAN RELATIONS”, Harvard Model Congress, 2014.
[10] New York Times, “Trump Alarms Venezuela with Talk of a ‘Military Option”, August 12, 2017. https://www.nytimes.com/2017/08/12/world/americas/trump-venezuela-military.html.
[11] Cfr. Julia Buxton, “Defusing Venezuela”, Seton Hall Journal of Diplomacy and International Relations, Spring, 2018.
[12] Tra questi, quello intitolato “Covert Action in Chile 1963-1973” e “Informe de Contingencia”, che contiene delle linee guida delle mosse da eseguire nel caso di vittoria di Allende alle elezioni presidenziali.
[13] Memorandum “Genesis of Project Fubelt”, September 16, 1970.
[14] Il 25% del settore industriale era di proprietà diretta del capitale straniero, soprattutto americano, e il 20% sotto controllo statunitense tramite debiti con vari gruppi finanziari.
[15] Cfr. Mirko Dondi, “11 settembre, la lezione del golpe cileno”, Il Fatto Quotidiano, 11.09.2013.
[16] P. Verdugo, “Salvador Allende. Anatomia di un complotto organizzato dalla Cia”, p. 131.
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