Se il destino della Cina dipende dalle foreste russo-scandinave
COSIMO MENEGUZZO, FRANCESCO MENEGUZZO | Quella del cambiamento climatico è questione ormai ben nota. Fra gli altri, Caracciolo (2014) scriveva che la conseguenza dei rischi geopolitici legati al cambiamento climatico resta incerta, almeno dal momento in cui tale sfida è inevitabilmente globale e, globalmente, è in grado di incidere su tutti gli attori presenti. Emerge oggi che la sfida è in realtà molto più ampia, e che l’umanità forse è andata troppo oltre, determinando la crisi non solo del clima ma dell’ecosistema globale. Per la prima volta da quando è comparso il genere umano, abbiamo di fronte una minaccia tanto grande che la via d’uscita appare strettissima: se carestie, impoverimento, aumento delle diseguaglianze, migrazioni, pandemie e instabilità politica e finanziaria non fossero altro che l’esito convergente di una sola grande dinamica su cui, oramai, possiamo fare ben poco?
In questo articolo saranno esplorati i molti ruoli degli ecosistemi forestali rispetto alla stabilità e sicurezza della vita umana. Dalle pandemie al clima, passando per le minacce dirette alla sopravvivenza della nostra civiltà, le grandi foreste mondiali rappresentano un patrimonio già ampiamente saccheggiato che necessita urgentemente di protezione e di una nuova libera espansione. Saranno altresì prospettate alcune soluzioni – difficili ma ineludibili – pena il rischio che quello che viviamo con il Covid-19 possa apparire in un prossimo futuro come un episodio quasi insignificante. La scomparsa di antiche foreste naturali e dei loro ecosistemi ci impone di fare i conti con un ordigno ambientale a orologeria.
Prima che dalle relazioni umane, dai trasporti a internet, il nostro pianeta è fortemente interconnesso dai suoi ecosistemi terrestri più importanti: le foreste naturali, le quali provvedono al sequestro del carbonio, alla stabilità climatica, e alla protezione dalle infezioni più virulente.
“I servizi resi dagli alberi al nostro pianeta vanno dal sequestro del carbonio, alla produzione di ossigeno, alla conservazione del suolo e alla regolazione del ciclo delle acque. Gli alberi sostengono i sistemi alimentari naturali e umani e provvedono al riparo per innumerevoli specie – uomini inclusi – attraverso i materiali da costruzione. Gli alberi e le foreste sono i nostri migliori depuratori dell’atmosfera e, in virtù del ruolo chiave rispetto all’ecosistema terrestre, in loro assenza è del tutto inverosimile immaginare la sopravvivenza sulla Terra di molte specie, inclusa la nostra” (Bologna et al., 2020).
Infatti, tutte le foreste – non solo quelle tropicali ma anche alle medie e alte latitudini – permettono il riciclo continuo dell’umidità oceanica e portano le precipitazioni fino ad aree geografiche da queste lontanissime. Ad esempio, in Sud America il bacino del Río de la Plata dipende dall’evaporazione dalla foresta amazzonica per il 70% delle sue risorse idriche, mentre quelle della Cina occidentale – che ospita le più estese coltivazioni di cereali – dipendono per ben l’80% dall’umidità oceanica riciclata dalle foreste Euro-asiatiche, dalla Scandinavia alla Russia orientale. Non è difficile immaginare il destino dell’agricoltura cinese, e le conseguenti tensioni geopolitiche, se queste foreste dovessero degradarsi irreversibilmente.
In base al ruolo fondamentale delle foreste globali rispetto alla stabilità della nostra civiltà, è utile approfondire la discussione rispetto ai servizi offerti dagli ecosistemi forestali. Ad esempio, le grandi foreste naturali non soltanto innescano le precipitazioni ma, addirittura, generano in atmosfera veri e propri fiumi di umidità che percorrono – per così dire – l’intero globo.
Questo meccanismo, detto pompa biotica, spiega perché laddove esista una continuità della copertura forestale dall’oceano verso l’interno continentale, le precipitazioni non diminuiscano anche per migliaia di km, mentre in caso contrario si riducono fortemente già entro 600 km di distanza dall’oceano.
Questo meccanismo implica, inoltre, che aree costiere ormai prive di foreste possano ricevere ancora più precipitazioni e anche più intense e disastrose, ma a scapito di aree più interne, letteralmente lasciate a secco come nel caso di molte zone in Africa.

Infatti, un recente e complesso studio su reti di ecosistemi forestali (Cantin et al., 2020) ha mostrato che, se la distanza che separa due grandi ecosistemi forestali cresce oltre un certo limite, almeno uno di questi ecosistemi può precipitare verso l’estinzione. Inoltre, la deforestazione stessa può compromettere il livello di resilienza degli ecosistemi forestali e portare ad ulteriori perdite di foresta.
Le cause della degradazione e scomparsa delle grandi foreste naturali sono più difficili da ricercare di quanto si possa pensare. In un recente modello sulla traiettoria della nostra civiltà (Bologna et al., 2020) la deforestazione è stata assunta quale fattore dominante sul lato del consumo delle risorse, seguito dalla crescita della popolazione globale e dal tasso di sviluppo tecnologico, quest’ultimo rappresentato dal tasso di incremento del consumo energetico. Il punto di svolta dopo il quale si manifesta il collasso della nostra civiltà è stato definito al momento in cui la popolazione globale raggiunge il suo picco e inizia a declinare. Gli autori hanno stimato che, al ritmo attuale di deforestazione (fattore negativo) e di sviluppo tecnologico (fattore positivo), l’umanità ha al massimo il 10% di probabilità di scampare al collasso entro un periodo di tempo di 20-40 anni, cioè entro il 2040-2060. Ma i problemi arriverebbero molto prima.
Ad esempio, l’eliminazione delle foreste costiere e la frammentazione, l’isolamento o, addirittura, il rimpiazzo delle foreste continentali con piantagioni, sono tutti elementi che portano ad evidenti squilibri nell’attivazione del meccanismo della pompa biotica e, di conseguenza, a forti instabilità nel regime delle precipitazioni, alla progressiva degradazione delle foreste situate all’interno e, infine, alla scomparsa della regolarità degli afflussi idrici in aree remote che ospitano e sostengono grandi insediamenti umani.
Inoltre, eccessivo sfruttamento e nuove infrastrutture, insediamenti e coltivazioni conducono alla conseguente riduzione delle aree di contenimento degli animali; quest’ultima favorisce, ad esempio, il contatto diretto tra essi e gli uomini e, di conseguenza, la trasmissione di virus potenzialmente molto pericolosi per l’uomo. Sotto questo aspetto, il ruolo primario delle foreste nell’ambito della ricerca per il trattamento e la prevenzione di eventi pandemici è emerso molto chiaramente; esso era già stato messo in evidenza in occasione di epidemie e pandemie di origine zoonotica precedenti a quella che stiamo vivendo oggi. Tali situazioni di crisi condividono tutte un tratto comune: l’interferenza umana con gli ambienti forestali naturali, frammentazione e pressione antropica ai loro margini, soprattutto nelle aree tropicali e semi-tropicali ricche di biodiversità.
Infatti, se, da una parte, le grandi foreste rappresentano serbatoi di virus letali ma innocui in assenza di interferenze distruttive, dall’altra esse possono esercitare un ruolo attivo nella difesa dalle malattie infettive. Per esempio, rispetto alla recente pandemia da Covid-19, ricercatori italiani (Roviello et al., 2020) hanno proposto un ruolo attivo e benefico delle foreste nel contenimento della diffusione dell’infezione e, soprattutto, nella riduzione della conseguente letalità. In particolare, questi effetti rimanderebbero all’emissione in atmosfera da parte delle piante e del suolo forestale di composti organici volatili biologicamente molto attivi, con effetti benefici per l’apparato respiratorio umano. Altri studi hanno invece definito un legame tra l’inquinamento dell’aria e la gravità dell’infezione, rispetto al quale può essere importante la funzione di purificazione dell’aria propria delle foreste.
In assenza di sviluppi tecnologici di sufficiente portata, un immediato e fortissimo impegno collettivo diretto principalmente ad invertire la tendenza alla deforestazione rappresenterebbe l’unica possibilità realistica di evitare il collasso. Tuttavia, gli sforzi per realizzare interventi su vasta scala per la mitigazione del cambiamento climatico, come la forestazione di nuove aree o la riforestazione di aree degradate – sebbene ampiamente popolari – potrebbero rivelarsi vani a causa del delicato equilibrio della rete delle foreste naturali, che rende questo tipo di “scorciatoie” meno promettenti di quanto precedentemente immaginato. Anzi, tali pratiche potrebbero essere addirittura controproducenti. Ad esempio, come osservato da Hua et al. (2018), nel caso della Cina interventi di riforestazione nelle regioni oggetto di queste politiche ambientali hanno causato una perdita netta di foreste naturali pari al 6,6%. Il rischio maggiore legato a dette politiche è, infatti, la scarsa biodiversità delle nuove foreste, caratterizzate da una o pochissime specie di alberi. Inoltre, il “dettaglio sinistro” che caratterizza il funzionamento della pompa biotica è che essa deve necessariamente risultare da una foresta naturale, la quale si forma dopo millenni di selezione genetica e di bilanciamento fra i vari componenti.
Permettere alle foreste naturali di ricrescere ed espandersi, nonostante si tratti di processi piuttosto lenti, appare dunque quale misura più sicura per ripristinare l’equilibrio climatico del pianeta, purché le emissioni di carbonio determinate dalle attività umane diminuiscano rapidamente. Tuttavia, a due grandi opportunità – espansione delle foreste naturali e riduzione dei gas serra – si frappongono due enormi problemi: la sempre crescente pressione demografica – con tutto ciò che da questa deriva – e l’aumento del fabbisogno energetico pro-capite.
Rispetto al primo problema, ad esempio, si annovera la grande pressione sull’agricoltura generata dalla necessità di incrementare la produzione di generi alimentari, la quale si pone in antitesi con la necessità di cedere ampie aree terrestri in favore dell’espansione delle foreste naturali. Nella ricerca di una via d’uscita da questo dilemma, una transizione globale nelle abitudini alimentari come, ad esempio, la sostituzione delle proteine di origine animale con proteine di origine vegetale, appare soluzione difficile ma – almeno in linea di principio – realizzabile: le colture destinate direttamente al consumo umano occupano fino a decine di volte meno terreno rispetto alle colture destinate al consumo animale e consentono di ridurre drasticamente le emissioni di carbonio del ciclo alimentare.
Rispetto al secondo problema, si potrebbe argomentare dicendo che è certamente desiderabile l’espansione delle fonti di energia rinnovabile. Tuttavia, è impossibile dimenticare che, in ogni caso, la disponibilità di crescenti quantità di energia comporta il conseguente aumento dei consumi, incluso quello delle foreste, facendo ricadere la situazione nel ciclo infinito del primo dilemma.
Finora, il genere umano è stato in grado di riprendersi da ogni crisi, evitando le peggiori conseguenze del proprio comportamento predatorio avvalendosi della sua capacità di intraprendere enormi sforzi collettivi. Oggi, questi sforzi dovrebbero essere diretti verso la sobrietà degli stili di vita e il progresso culturale, scientifico e tecnologico in una misura tale da ridurre drasticamente le emissioni di gas serra e preservare la rigenerazione naturale degli ecosistemi forestali. Infatti, le foreste sono in grado di sostenere la vita e la stabilità dell’intero ecosistema terrestre in tutti i loro aspetti, purché siano lasciate libere di crescere, espandersi e autosostenersi. I vantaggi illusori portati dallo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali volgono al termine, a meno di cambiamenti radicali e – prima di tutto – culturali. Il nostro Paese, in questo ambito, riveste un’importanza fondamentale, in quanto numerose specie forestali trovano in Italia, soprattutto sull’Appennino, il rifugio ideale. In altre parole, il destino delle foreste europee dipende anche dal rigore con cui preserveremo le piante a casa nostra.
In questo articolo abbiamo ricostruito le cause e le conseguenze della scomparsa delle grandi foreste naturali, le cui ripercussioni si manifestano anche a migliaia di km di distanza dalla loro posizione. Dal punto di vista geopolitico, emerge come le grandi potenze non possano mettere in campo soluzioni efficaci per evitare i danni che subiranno inevitabilmente, a meno che non vi sia un ingente sforzo coordinato a livello globale. Se non si interviene immediatamente – e globalmente – sulla conservazione ed espansione delle grandi foreste e dei loro rifugi naturali, tra trent’anni non vi sarà alcuna nuova Via della Seta, alcuna sfida alla sicurezza informatica e alcuna questione geopolitica di cui varrà la pena discutere.
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Fonte immagine in sovraimpressione: http://antropocene.it/2018/07/14/foreste-nel-mondo/
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