REBECCA ROMAGNOLI | Nel bel mezzo della più profonda crisi politica, sociale ed economica che il Libano abbia mai attraversato, lo scorso 15 maggio si sono tenute nel Paese le elezioni parlamentari. Sebbene in molti avessero dato quasi per assodata – o scontata – una facile riconferma della maggioranza da parte di Hezbollah, il risultato finale dello spoglio dei voti ha invece illustrato un sostanziale cambiamento nei rapporti di forza tra i principali partiti [i].
Il primo dato da riportare riguarda infatti proprio il “Partito di Dio” e il suo principale alleato sciita, ovvero Amal, secondo partito sciita del Paese guidato dal presidente del parlamento Nabih Berri. I due partiti alleati, infatti, sono riusciti a mantenere i 27 seggi allocati alla confessione sciita, ma hanno allo stesso tempo perso la maggioranza parlamentare che avevano ormai dal 2018 e conquistato solo 61 seggi – 10 in meno rispetto alle elezioni del 2018. Ma non solo. Le elezioni hanno anche evidenziato la perdita di terreno da parte dell’alleato cristiano di Hezbollah, a favore di un altro partito cristiano di destra, “Le Forze Libanesi”, guidato da Samit Geagea e supportato da Arabia Saudita e Stati Uniti – il partito ha ottenuto ben 19 seggi, corrispondenti al 14,9% [ii]. Figura controversa e conosciuta sia per la sentenza che lo condannò a 11 anni di prigionia per i crimini commessi durante la guerra civile, sia per il suo longevo sostegno all’ex Primo Ministro Saad Hariri. Tuttavia, in seguito al ritiro dalla scena politico di quest’ultimo, sono in tanti a prevedere che sarà molto difficile in ogni caso per il leader cristiano-maronita riuscire a formare una coalizione di governo [iii].
Altra importante sorpresa di queste ultime elezioni parlamentari si sono rivelati essere i candidati indipendenti, i quali hanno ottenuto 16 seggi – ovvero il 13.3%. Molti di questi indipendenti sono emersi in seguito alle proteste popolari dell’ottobre 2019, ma le previsioni di molti analisti avevano attribuito non più di 4 seggi. Il fatto che invece abbiano avuto la meglio – anche su molte e conosciute figure politiche tradizionali – è un dato degno di nota, soprattutto se si pensa alla rigida struttura del sistema politico libanese e alla difficoltà di inserirvisi come forze politiche “nuove”, o quantomeno diverse da quelle tradizionali [iv].
Tuttavia, nonostante il tanto echeggiato “vento di cambiamento” che da diverso tempo in molti sentono – o sperano di sentire – soffiare piano, nemmeno questo importante dato riesce fino in fondo a rendere credibile una vera e imminente inversione di marcia. I candidati indipendenti, infatti, sono già fortemente caratterizzati da una grande eterogeneità e da profonde divisioni su diversi temi, primo tra tutti l’ipotetica alleanza proprio con le Forze Libanesi.
Il movimento di protesta creatosi nel 2019 ha cercato di rimanere il più possibile libero linee di faglia settarie e politiche del Paese, che i partiti tradizionali spesso usano abitualmente per dividere e governare la popolazione. I manifestanti hanno forgiato un’ampia alleanza intorno alla richiesta di espellere la classe politica in toto – indipendentemente dall’identità settaria o politica – sotto l’ormai famoso slogan “tutti loro significa tutti loro”.
Ad ogni modo, le forze politiche tradizionali libanesi costituiscono ancora il 90% della composizione parlamentare, a testimonianza del fatto che, soprattutto in tempo di elezioni e lontani dalle proteste di piazza, siano ancora efficaci i metodi di mobilitazione che le forze politiche storiche sanno ormai ben impiegare. Strumenti politici come il clientelismo e i meccanismi di protezione probabilmente non sono mai stati più utili come in questo contesto. Le conseguenze disastrose del collasso economico libanese ha reso il Paese ancor più dipendente da dinamiche di favoritismi e corruzione di diversa natura. Dall’ottobre 2019, gli standard e le condizioni di vita sono peggiorati in modo drammatico, e la situazione legata al prezzo e quantità dell’energia e del carburante è ancora drastica [v].
In conclusione, la formazione di una nuova maggioranza si prospetta essere complessa e basata su lunghi negoziati tra le parti. Tale periodo di contrattazioni può essere anche molto lungo e faticoso – come già lo è stato in passato – e caratterizzato da veti o ostruzionismi. E in un Paese come il Libano, che si trova ad affrontare una delle crisi più profonde e pervadenti ogni ambito del sistema-Paese, potrebbe rivelarsi cruciale trovare il giusto equilibrio tra tempo e risorse disponibili, in modo da sorreggere ancora l’intera struttura, in attesa di veder concretizzarsi quell’aria di cambiamento che l’inciampo politico di Hezbollah e il successo degli indipendenti sembrano aver – per ora – solo accennato.
[i] Manuel Mezzadra; “La frammentazione politica è ancora un problema per il Libano”; 26 maggio 2022; Affari Internazionali – AI; https://www.affarinternazionali.it/risultati-elezioni-libano-nuovo-parlamento/.
[ii] AP with Euronews; “Lebanon elections: Hezbollah and allies lose majority in parliamentary vote Access to the comments”; 19/05/2022; Euronews; https://www.euronews.com/2022/05/16/lebanon-elections-hezbollah-and-allies-projected-to-lose-seats-in-parliamentary-vote.
[iii] Federico Manfredi Firmian; “Elezioni in Libano: Hezbollah indietreggia, avanzano volti nuovi”; 18 maggio 2022; ISPI; https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/elezioni-libano-hezbollah-indietreggia-avanzano-volti-nuovi-35074.
[iv] Ibidem.
[v] David Wood, 23 May 2022; “Lebanon’s Elections Portend Protracted Political Vacuum”; International Crisis Group; https://www.crisisgroup.org/middle-east-north-africa/east-mediterranean-mena/lebanon/lebanons-elections-portend-protracted-political-vacuum.
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