ANDREA PERRINO | L’Africa è attualmente il continente con il più alto tasso di crescita nel settore digitale: tra il 2018 e il 2019 gli abbonamenti online si sono moltiplicati del 5.2% e gli utenti di internet sono cresciuti del 8.7%[i]. Alla verginità digitale dei Paesi africani fa da contraltare, infatti, una enorme domanda per la digitalizzazione, che deriva da un alto tasso di crescita demografica e di urbanizzazione e dall’assenza di know-how locale per uno sviluppo autonomo. Questi fattori fanno dell’Africa il continente del futuro, dove investire ora per un mercato che sarà dalle proporzioni enormi. Le compagnie digitali occidentali ne sono consapevoli e stanno lavorando per accaparrarsi fette sempre maggiori di questo mercato ancora in costruzione: l’iniziativa di Facebook “2Africa” vedrà la realizzazione di 37.000 km di nuovi cavi internet, mentre Google si sta concentrando sulla Costa Occidentale con il progetto EQUIANO[ii]. Il vero vincitore della competizione viene però dall’Oriente: con la Via della Seta Digitale ed il braccio secolare di aziende come Huawei, TZE e China Telecom, Pechino sta soddisfacendo la domanda delle economie africane, a partire dalla costruzione di infrastrutture digitali, fino al trasferimento di conoscenza ed e-clouds. In definitiva, si può parlare di un quasi monopolio cinese in questi settori.[iii] Le dimensioni delle attività del Dragone lasciano però spazio a paure e dubbi dovuti all’opacità degli investimenti, alle accuse di spionaggio ed all’asimmetria di potere e conoscenze, oltre alla criticata cooperazione con regimi autoritari. Molti esperti stanno denunciando una colonizzazione digitale in Africa, e nonostante altre voci tendano a giustificare le mosse della Cina entro un’ottica puramente commerciale, alcuni fatti corroborano inevitabilmente la paura di un Grande Gioco digitale in Africa che vede la Cina come principale attrice.
Il 95% dei dati digitali mondiali al giorno d’oggi passa attraverso cavi di comunicazione sottomarini[iv]. In Africa, questa infrastruttura strategica deve ancora essere costruita, e Google e Facebook hanno cercato di aumentare il loro impero risolvendo questo divario. Non importa se le popolazioni africane sono troppo povere per smartphone e connessione: le aziende hi-tech lavorano su soluzioni adatte per costruire un enorme mercato ex novo. Questa offerta asimmetrica richiama un contesto colonialista, poiché “le tecnologie sono cariche di valore, chiunque sia dietro lo sviluppo di queste tecnologie avrà i propri valori inculcati in queste particolari tecnologie”[v]. Una grande alternativa alle aziende hi-tech occidentali arriva dalla Cina. Il colosso Huawei ha già realizzato cento cavi sottomarini che collegano l’Africa e l’ultimo progetto di cablaggio è PEACE: 1.5000 Km che partendo dal porto di Gwadar (Pakistan) collegheranno Asia, Africa ed Europa, portando la banda larga in molte nuove aree[vi].
PEACE fa parte della Digital Silk Road, che rientra nella più ampia Belt and Road Initiative (BRI). La Digital Silk Road ha l’obiettivo win-win di stimolare l’export delle imprese coinvolte e aiutare l’emancipazione digitale dei Paesi membri.[vii]Perché questa opportunità è così importante per l’Africa?
- La Cina sta diventando una potenza high-tech attraverso un programma nazionale chiamato Made in China 2025(MiC2025): l’obiettivo è quello di avere aziende tecnologiche competitive all’estero e ridurre la dipendenza della Cina dalle importazioni. [viii] Oltre il 40% delle esportazioni cinesi è già specializzato in macchinari e produzione ad alta tecnologia [ix], e uno degli obiettivi della BRI è esportare la sovrapproduzione cinese all’estero, adesso che la crescita del PIL sta rallentando. Le aziende cinesi sono quindi pronte a rispondere alla domanda di infrastrutture digitali e di connettività in Africa e nel mondo, con prodotti hi-tech di alta qualità[x].
- I prodotti cinesi sono generalmente più economici, il che è fondamentale per i Paesi africani che altrimenti non potrebbero acquistarli e commerciarli[xi].
- La reputazione della Cina, diversamente dall’Europa, è scevra da accuse coloniali. Al contrario, Pechino ha addirittura sostenuto molti movimenti di liberazione durante il processo di decolonizzazione in Africa. Il gioco tra Africa e Cina è un esempio di cooperazione Sud-Sud, un’alternativa alla logica delle relazioni Nord-Sud. La special relationship tra Cina e Africa è confermata dalla tradizione risalente al 1991 dei Ministri degli esteri della Repubblica Popolare, di effettuare il primo viaggio all’estero istituzionale in Africa.[xii]
La Cina è stata anche in grado di creare un’intera narrativa storica per saldare i legami col continente nero: i cinesi hanno scoperto che alcune persone in Kenya sono discendenti cinesi dall’affondamento della nave del leggendario ammiraglio Zheng He nel XV secolo al largo della penisola di Lamu[xiii].
- Principio di non interferenza: è una politica elaborata negli anni ‘70 da Deng Xiaoping e che consiste nell’intrattenere relazioni diplomatiche ed economiche con altri Paesi senza toccarne la sovranità e gli affari interni.
I numeri della Digital Silk Road sono impressionanti, e sembra un progetto win-win: esportando tecnologie e creando una diplomazia positiva con altri Paesi, Pechino sta contribuendo al proprio “Rinascimento Nazionale”[xiv]. I leader africani sperano d’altro canto di imitare il modello di sviluppo di un Paese che in meno di mezzo secolo ha sottratto alla povertà più di 800 milioni di persone: la creazione di una moderna infrastruttura digitale servirà a proiettare le economie africane nel futuro.[xv] La Cina in molti casi si è rivelata all’altezza delle aspettative dell’Africa, ma guardando l’altra faccia della medaglia sorge una domanda: fino a che punto Pechino ha monopolizzato lo sviluppo digitale africano?
Huawei e ZTE (produttori di smartphone) hanno costruito quasi l’80% dell’infrastruttura 3G in Africa. Huawei ha inoltre realizzato quasi il 70% del 4G nel continente e ha già il monopolio del 5G.[xvi] Le aziende cinesi hanno realizzato prodotti su misura per il contesto africano: telefoni con schermi resistenti alla sabbia, batterie più potenti e fotocamere speciali, mentre Huawei sta realizzando joint venture con aziende locali per sviluppare prodotti più accessibili alle popolazioni locali.[xvii] Nel 2020, la cinese Tecno ha superato Samsung come marchio di smartphone più venduto in Africa. Il concorrente cinese di Uber, Didi Chuxing, ha avviato la sua attività di ride-hailing a Città del Capo.[xviii]
Dove si posizionano USA e UE di fronte a un simile successo? I paesi occidentali mancano di una comune strategia di investimento, soprattutto da parte europea, e la retorica sul rispetto dei diritti umani cede spesso di fronte al sostegno dei regimi autoritari che assecondano i loro interessi. Gli Stati Uniiti, invece di avere una strategia allo sviluppo in Africa e di ascoltare le richieste dei governi locali, tendono a muoversi sul continente nero con il solo obiettivo di attuare un containment contro la Cina, vincolando talvolta i propri aiuti a delle istanze politiche. E così, mentre l’attività e l’attenzione di Washington in Africa è andata a ridursi negli ultimi anni, la Cina offre invece mere possibilità commerciali e di investimenti infrastrutturali ai vari stati, a prescindere da pregiudizi politici[xix]. La strategia cinese è molto più efficace: con il principio di non ingerenza, Pechino mostra un atteggiamento pragmatico che mira a sviluppare meri affari commerciali, con interlocutori sia democratici che autoritari. La Cina supera così la logica postcoloniale di valutare il valore dei Paesi secondo la lente dei propri valori. Questa garanzia porta più Paesi africani a fidarsi di Pechino. Tuttavia, il monopolio della Cina sulla costruzione dell’infrastruttura digitale africana ha dato adito a molte ragionevoli preoccupazioni.
Pechino è accusata da molti di spionaggio per i suoi interessi. Ciò è molto visibile a livello industriale: migliorare rapidamente la qualità dell’industria hi-tech per raggiungere gli obiettivi del Made in China 2025 e concretizzare la narrativa del Rinascimento cinese è una ricerca ambiziosa e le industrie cinesi hanno bisogno di accedere alle tecnologie d’avanguardia dei concorrenti stranieri per farcela. Pechino alimenta pertanto le sue compagnie con proprietà intellettuale e dati aziendali rubati. È stato dimostrato che questo atteggiamento di furto di dati interessa, allo stesso modo, alleati e nemici.[xx] La Digital Belt and Road e il monopolio della digitalizzazione dell’Africa sono una miniera d’oro per Pechino, soprattutto a causa dello squilibrio tra la Cina e le nazioni destinatarie: c’è un alto rischio per la privacy e la sicurezza informatica dei Paesi africani.
Un caso clamoroso arriva dalla sede dell’Unione Africana (UA) in Etiopia, costruita dalla Cina come un omaggio nel 2012 (200 milioni di dollari finanziati da Pechino). Cinque anni dopo, gli informatici scoprirono che i server inviavano un’enorme quantità di dati tra la mezzanotte e le 2:00 di ogni notte a un centro di spionaggio a Shanghai. I sistemi informatici sono stati consegnati pronti all’uso, ma con due backdoor digitali. L’episodio è stato riportato da “Le Monde”. Quando, in seguito, l’UA ha introdotto nuovi server, il governo cinese si sarebbe offerto di configurarli: l’offerta è stata respinta.[xxi]
Aye, there’s the rub! L’episodio contiene di per sé il pericolo di una massiccia penetrazione della Cina nel settore strategico del digitale, ma la questione del monopolio del mercato mostra una vulnerabilità sistemica: si è deciso infine di deviare il traffico dati della sede dell’Unione ad una società africana, Ethio Telecom, unica operatrice pubblica in Etiopia. Il problema arriva con le credenziali di questa impresa: una società etiope di proprietà statale impegnata nella sorveglianza informatica e nello spionaggio che, ancora una volta, utilizza la tecnologia fornita dalla società cinese ZTE.[xxii]
La necessità di intelligence politica, oltre che di guadagno economico, non è l’unica ragione per cui la Cina ruba dati sensibili. L’Africa è il continente con la più grande diversità genomica al mondo: ci sono oltre 3.000 diversi gruppi etnici che parlano più di 2.100 lingue diverse.[xxiii] Ciò si traduce in dati biometrici interessanti che possono essere utilizzati per migliorare e produrre nuove apparecchiature di videosorveglianza, utili a Pechino per monitorare gli Uiguri, una minoranza turcofona e di religione islamica che vive nella regione autonoma dello Xinjiang.[xxiv] Lo scambio di questi dati tra Cina e Africa avviene non solo tramite spionaggio ma anche alla luce del sole: nel 2018, il governo dello Zimbabwe ha stretto un accordo con l’industria Cloud Walk per sviluppare dispositivi di riconoscimento facciale nel Paese. In cambio, ha accettato di condividere tutti i dati di riconoscimento facciale raccolti dai suoi database locali con l’azienda cinese Cloud Walk per ulteriori analisi. [xxv]
Il riconoscimento facciale è uno degli strumenti che servono ai governi africani per rafforzare la sicurezza laddove guerre, conflitti etnici, terrorismo, furto e tratta di esseri umani rappresentano una piaga per milioni di persone. La sicurezza, tuttavia, può essere una facciata delle autorità per ottenere un maggior controllo sociale.
Questo modello di sorveglianza basato sulla tecnologia è attraente per i leader africani: la stessa tecnologia che può rovesciare i dittatori può essere utilizzata anche per aumentarne il potere. La Digital Silk Road è diventata il canale principale di Pechino per diffondere i propri strumenti di governance e sorveglianza all’estero.[xxvi] I governi africani chiedono una partnership per la realizzazione delle “Safe Cities”, che consistono in centri urbani integrati con una rete di dispositivi connessi, ovvero l’Internet of Things (IoT), in modo simile alle smart city, ma con “caratteristiche cinesi”.[xxvii] Tale soluzione potrebbe rivelarsi utile per ridurre la criminalità, certo, ma il rischio è che questa tecnologia venga utilizzata dal governo per controllare la popolazione e perseguitare dissidenti e giornalisti. Tecnologie simili sono vendute anche dai Paesi occidentali, come nel caso dell’italiana Hacking Team, che ha collaborato con il governo etiope di Abiy Ahmed per spiare i giornalisti all’estero.[xxviii] La differenza è che la Cina lo fa in modo più sistemico: secondo RWR Advisor, tra il 2009 e il 2018, tra i Paesi che hanno adottato le tecnologie della città sicura della Cina, 41 su 64 sono classificati come non, o parzialmente, liberi.[xxix] Nel 2021 è stato lanciato un recente progetto tra Burkina Faso e Cina: Smart Burkina costerà 80 milioni di euro, la costruzione sarà affidata a Huawei e CITCC, svilupperà nuovi sistemi di monitoraggio del traffico sulle strade pubbliche di Ouagadougou e Bobo-Dioulasso e servirà a ridurre i tempi di risposta della polizia in un Paese afflitto dal terrorismo islamico.[xxx]
Le vicende economiche portate avanti dalla Cina con la Digital Silk and Road vanno ben oltre le conseguenze economiche: requisito per fare affari con la Cina implica non dover riconoscere Taiwan, a anche la disponibilità a dotarsi degli strumenti di sorveglianza autoritaria diffuso da Pechino. La Cina ha elaborato la propria Weltanschauung (visione) sul futuro di Internet e del mondo: nel 2019 è stato proposto il “Nuovo Protocollo di Internet”, con l’obiettivo di ripensare la rete in chiave top-down, dando più potere agli Stati nel controllo della proprietà digitale e della popolazione all’interno del proprio territorio nazionale.[xxxi] Ciò ha a che fare con la sovranità digitale: uno Stato deve essere in grado di creare dei confini alla rete digitale, che corrispondano ai rispettivi dello stato-nazione. Questo progetto ha già preso forma in Cina con il “Golden Shield”, ovvero una proiezione digitale del governo che si fa e-government: nel metaverso, sono presenti un sistema di amministrazione digitale, un sistema di informazione criminale e così via, per le varie branche del potere pubblico. Insieme al “Grande Firewall of China”, Pechino può regolamentare Internet a livello nazionale, limitando l’accesso a fonti straniere come Wikipedia e Twitter, e controllare meglio le persone nel mondo cibernetico. Attraverso la Digital Silk Road, i Paesi africani potrebbero introdurre il modello New IP nelle loro realtà: aumenterebbe la possibilità di disaccoppiamento digitale tra Cina e Stati Uniti.
È possibile quindi affermare che la Cina stia perpetrando una sorta di colonialismo in Africa? Il colonialismo digitale è definito come “l’uso della tecnologia digitale per il dominio politico, economico e sociale di un’altra nazione o territorio”.[xxxii] Sebbene la Cina conduca gli affari in modo predatorio, ci sono esperti come il Professore degli studi di comunicazione dell’università Witwatersrand in Sud Africa, Iginio Guigliardone, il quale sostiene che il coinvolgimento cinese nello sviluppo delle società dell’informazione africane “non sembra aver portato a un aumento delle tendenze autoritarie”.[xxxiii] È anche vero che la Nuova IP di Huawei ha ricevuto solo pochi voti africani all’interno dell’Organizzazione Internazionale per la Standardizzazione (ISO).[xxxiv] Manca una strategia politica specifica dietro la Nuova Via della Seta Digitale in quanto i Paesi africani non hanno finora subito un impatto rivoluzionario dopo gli investimenti cinesi nel settore digitale. [xxxv]
Per concludere, può essere controverso parlare di colonizzazione digitale quando si fa riferimento al progetto cinese Digital Silk Road in Africa, nonostante la grande influenza che Pechino ha acquisito nel continente. Di sicuro, la Cina usa le sue attività economiche come leva per aumentare il suo soft e hard power (come nel caso di Gibuti). Tuttavia, questo non è diverso da quello che fanno altri giganti digitali e Paesi occidentali. Cresce la preoccupazione per i pericoli derivanti dall’accettare gli investimenti della Via della Seta digitale, dopo i tanti casi di spionaggio e furto dati: da questo l’Occidente potrebbe trarre un qualche margine di manovra per guadagnare terreno nelle politiche di sviluppo con l’Africa e competere con la Cina. Le grandi iniziative denominate Build Back Better World (B3W) (dal G7) e l’EU Global Gateway, tuttavia, finora non sono state efficaci, e mentre il Global Infrastructure and Investment Partnership (PGII) recentemente proposto lascia ancora molti dubbi sulla sua capacità in grado di superare le carenze del primo, il consenso di Pechino sembra molto più fattibile da attuare con quei governi africani autoritari che non devono rispondere al popolo delle proprie scelte come in una democrazia, e tantomeno si curano del rispetto dei diritti umani. Sicuramente l’Africa è tornata ad essere un potenziale gigante nel corpo di un attore debole e frammentato che si trova a far fronte da un lato alle grandi compagnie capitaliste e dall’altro agli investimenti della Cina, Paese dal potere asimmetrico e dagli obiettivi poco chiari. Come alcuni hanno proposto, il modo migliore di emanciparsi per le popolazioni africane sarebbe cooperare per uno sviluppo autonomo, come hanno dimostrato molte iniziative locali con la creazione di originali invenzioni digitali. Tuttavia, le condizioni e il modo per farlo sono difficili e la Digital Silk Road può sembrare l’alternativa più semplice e necessaria per fare qualche progresso.
[i] S. Calzati, “‘Data Sovereignty’ or ‘Data Colonialism’? Exploring the Chinese Involvement in Africa’s ICTs: A Document Review on Kenya.” Journal of Contemporary African Studies 40.2 (2022): Journal of Contemporary African Studies, 2022, Vol.40 (2). Web.
[ii] A., Blum, C., Baraka, “Google and Meta’s underwater cables up the stakes on internet control”, Rest of World, 2022. Available at: https://restofworld.org/2022/google-meta-underwater-cables/.
[iii] 2nacheki, “Africa’s Digital Colonialism: How BigTech Exploits the Continent”, 2021.
[iv] A. Colarizi, “Africa Rossa”, L’Asino d’oro edizioni s.r.l., 2022.
[v] 2nacheki, “Africa’s Digital Colonialism: How BigTech Exploits the Continent”, 2021.
Available on youtube at: https://www.youtube.com/watch?v=iCQfKjXD2sU.
[vi] Ibidem.
[vii] A. Colarizi, “Africa Rossa”, L’Asino d’oro edizioni s.r.l., 2022, pp. 114-115.
[viii] C. Wright, “China’s Digital Colonialism: Espionage and Repression Along the Digital Silk Road”, Johns Hopkins University Press, Volume 41, Number 2, 2021, ppt. 89-113.
[ix] “China Exports By Category”, Trading economics, 2021.
Available at: https://tradingeconomics.com/china/exports-by-category (Accessed: November 24, 2022).
[x] [x] C. Wright, “China’s Digital Colonialism: Espionage and Repression Along the Digital Silk Road”, The SAIS Review of International Affairs 41.2 (2021): 89-113. Web.
[xi] Ibidem.
[xii] S. Pieranni, “La Cina Nuova”, GLF editori Laterza, 2021.
[xiii] Embassy of China, “Work Together to Build the Silk Road Economic Belt and the 21st Century Maritime Silk Road”, Embassy of the People’s Republic of China in the Republic of Cyprus, 2020. Available at: http://cy.china-embassy.gov.cn/eng/xwdt/201705/t20170520_3123364.htm
[xiv] C. Wright, “China’s Digital Colonialism: Espionage and Repression Along the Digital Silk Road”, Johns Hopkins University Press, Volume 41, Number 2, 2021, ppt. 89-113.
[xv] World Bank Group, “Lifting 800 million people out of poverty – new report looks at lessons from China’s experience”, World Bank, 2022 April 1, available at https://www.worldbank.org/en/news/press-release/2022/04/01/lifting-800-million-people-out-of-poverty-new-report-looks-at-lessons-from-china-s-experience
[xvi] A. Colarizi, “Africa Rossa”, L’Asino d’oro edizioni s.r.l., 2022
[xvii] Ibidem.
[xviii] Ibidem.
[xix] Ibidem.
[xx] S. Calzati, “‘Data Sovereignty’ or ‘Data Colonialism’? Exploring the Chinese Involvement in Africa’s ICTs: A Document Review on Kenya.” Journal of Contemporary African Studies 40.2 (2022): Journal of Contemporary African Studies, 2022, Vol.40 (2). Web.
[xxi]J. Sherman, “What’s the Deal with Huawei and This African Union Headquarters Hack?”, newamerica.org, 2019. Link available at: https://www.newamerica.org/cybersecurity-initiative/c2b/c2b-log/whats-the-deal-with-huawei-and-this-african-union-headquarters-hack/
[xxii] C. Wright, “China’s Digital Colonialism: Espionage and Repression Along the Digital Silk Road”, Johns Hopkins University Press, Volume 41, Number 2, 2021, ppt. 89-113.
[xxiii] “Ethnic Groups in Africa”, Study.com, 2022.
[xxiv] C. Wright, “China’s Digital Colonialism: Espionage and Repression Along the Digital Silk Road”, Johns Hopkins University Press, Volume 41, Number 2, 2021, ppt. 89-113.
[xxv] Ibidem.
[xxvi] S. Woodhams, “China, Africa, and the Private Surveillance Industry.”, Georgetown Journal of International Affairs 21.1: 158-65. Web., 2020.
[xxvii] Ibidem.
[xxviii] A. Colarizi, “Africa Rossa”, L’Asino d’oro edizioni s.r.l., 2022.
[xxix] Ibidem.
[xxx] Ibidem.
[xxxi] C. Wright, “China’s Digital Colonialism: Espionage and Repression Along the Digital Silk Road”, Johns Hopkins University Press, Volume 41, Number 2, 2021, ppt. 89-113.
[xxxii] Ibidem
[xxxiii] S. Woodhams, “China, Africa, and the Private Surveillance Industry.”, Georgetown Journal of International Affairs 21.1: 158-65. Web., 2020.
[xxxiv] A. Colarizi, “Africa Rossa”, L’Asino d’oro edizioni s.r.l., 2022.
[xxxv] Ibidem.
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