Fin dall’antichità la violenza sessuale sulle donne viene utilizzata come pratica di guerra capace di sfruttare la potenza comunicativa dell’atto sessuale, per enfatizzare il dominio del vincitore sul vinto. Quest’ultimo, oltre a subire il disonore della sconfitta e la depredazione di tutte le proprietà, viene spesso privato delle proprie mogli e figlie, considerate parte del bottino di guerra. Per secoli, la violenza sessuale perpetrata nel corso delle guerre è stata considerata come parte inevitabile dello svolgimento del conflitto e, di conseguenza, tacitamente accettata. Nei documenti storici ma anche negli stessi poemi epici, il dominio sulle donne del nemico viene rappresentato come una naturale conseguenza del conflitto e messa in atto da tutte le fazioni coinvolte. Tuttavia, in passato le guerre avevano una dimensione geografica più limitata, e soltanto, le popolazioni che si trovavano a vivere lungo la linea del fronte ne venivano colpite. I conflitti dell’ultimo secolo, diversamente, si sono caratterizzati per uno spiccato coinvolgimento di intere Nazioni e società civili.
Nel corso della Seconda Guerra Mondiale, le popolazioni europee e asiatiche hanno vissuto in una condizione di estrema precarietà sotto la minaccia continua dei bombardamenti e dell’invasione delle truppe nemiche che, spesso, hanno fatto ricorso a torture e soprusi a danno della popolazione: nelle città, nei villaggi occupati sia dalle forze dell’Asse che dagli Alleati, molte furono le donne vittime di stupri e di episodi di violenza di genere. Il film “La Ciociara”, insieme ad altri documenti storici e letterari, ne è un esempio lampante: nelle zone del sud e centro Italia le pratiche di stupro furono messe in atto dalle truppe alleate. In particolare, i soldati marocchini facenti parte dell’esercito francese violentarono donne e bambine italiane. Il dominio sulla donna bianca veniva percepito come una giusta ricompensa per la partecipazione di soldati provenienti dalle colonie alla guerra europea. La violenza di genere come strumento di guerra fu una pratica largamente utilizzata in tutte le diverse linee del fronte: nel continente asiatico, dove i giapponesi occuparono parte dei territori cinesi, le donne catturate furono costrette a divenire schiave sessuali. Dalle testimonianze raccolte è possibile stimare che, nel corso della prigionia, ogni donna possa aver subito fino a 1500 episodi di violenza. Alla fine della guerra, tutte le parti del conflitto furono accusate di aver commesso stupri di massa; tuttavia, nessuno dei due tribunali, istituiti a Tokyo e a Norimberga dagli Alleati per perseguire i presunti crimini di guerra, riconobbero il reato di violenza sessuale come crimine contro l’umanità.
Nonostante l’affermarsi, nell’ultimo secolo, di un processo di emancipazione femminile importante, lo stupro resta una pratica largamente diffusa e adottata anche nelle guerre contemporanee. In un contesto globale in cui i conflitti etnici e religiosi assumono sempre maggior rilevanza, poiché generano conseguenze importanti per l’ordine mondiale e la stabilità dei paesi, atti di violenza sessuale possono avere effetti diversi sulla popolazione.
Nel febbraio 2012, Margot Wallström, Rappresentate Speciale delle Nazioni Unite per i crimini sessuali in situazioni di conflitto, ha affermato: “È diventato più pericoloso essere una donna che va ad attingere l’acqua o che va a raccogliere la legna da ardere che essere un combattente al fronte[1]“. Le donne possono essere esposte a gravi forme di stupro, messe in atto in modo sistematico allo scopo di ottenere obiettivi militari o politici. Le pratiche di stupro possono contribuire a diffondere il terrore nella società, al punto da limitarne o annullarne le possibilità di reazione contro un oppressore; talvolta, l’obbiettivo perseguito può essere quello di disperdere la popolazione, disgregare le famiglie, distruggere comunità e, in alcuni casi, modificarne la composizione etnica. Lo stupro viene deliberatamente usato per contagiare le donne con il virus dell’HIV o renderle incapaci di procreare. Ad esempio, nel corso del conflitto in Jugoslavia, poiché si riteneva che l’appartenenza etnica venisse trasmessa dal padre, donne bosniache venivano stuprate da uomini serbi con l’intento di dare alla luce figli serbi. Gli effetti di tali pratiche sulla società civile sono rilevanti e irreversibili: molto spesso le donne si trovano ad accudire figli concepiti durante episodi di violenza, combattute tra l’istinto naturale che le spinge ad occuparsi di loro e l’odio verso il padre che ha contribuito a generarli, al punto che i bambini vengono, talvolta, ripudiati e abbandonati. La violenza sessuale, pertanto, genera effetti che perdurano dopo la fine del conflitto, come gravidanze indesiderate, infezioni trasmesse per via sessuale e l’emarginazione per infamia della donna e dei figli, che spesso non vengono accettati nella propria comunità di origine. Le pratiche di stupro su vaste proporzioni possono continuare o addirittura aumentare in seguito al conflitto, come conseguenza della mancanza di sicurezza e della situazione di impunità. Nelle guerre contemporanee, la violenza di genere rimane un fattore determinate nelle pratiche di sterminio o dissoluzione di intere comunità, determinando l’annientamento psicologico ma anche fisiologico attraverso la diffusione di virus. In Ruanda, durante il genocidio nel 1994, furono stuprate tra le 100.000 e le 250.000 donne. Le agenzie delle Nazioni Unite calcolano che più di 60.000 donne siano state stuprate durante la Guerra civile in Sierra Leone (1991-2002), più di 40.000 in Liberia (1989-2003), fino a 60.000 nella ex Jugoslavia (1992-1995), e almeno 200.000 nella Repubblica Democratica del Congo durante gli ultimi 12 anni di guerra[2].
La giurisprudenza internazionale, a partire dal 1993, con l’adozione dello Statuto che istituisce il Tribunale Penale per la ex Jugoslavia, ha riconosciuto la violenza di genere come un crimine contro l’umanità[3]. La posizione dell’ICTY è stata poi riaffermata dallo Statuto della Corte Penale Internazionale, in vigore a partire da luglio 2002, che comprende lo stupro, la schiavitù sessuale, la prostituzione forzata, la gravidanza forzata, la sterilizzazione forzata o “qualsiasi altra forma di violenza sessuale di analoga gravità” come crimine contro l’umanità qualora sia commesso in modo diffuso o sistematico[4]. Inoltre, i mandati di arresto emessi dalla Corte Penale Internazionale comprendono diversi capi d’accusa di stupro, sia come crimine di guerra che come crimine contro l’umanità.
Tuttavia, la persecuzione del crimine a livello internazionale presenta, ad oggi, numerose difficoltà: non è facile infatti dimostrare che si sia verificato uno stupro, soprattutto in assenza di testimoni; le donne sono, inoltre, spesso spinte a nascondere le violenze subite per evitare le pesanti ritorsioni sociali. Benché le modifiche alle leggi internazionali e nazionali costituiscano i principali passi per consentire la punizione e la fine della violenza sessuale, esse non possono avere buon esito senza un fondamentale cambiamento nell’atteggiamento sociale nei confronti degli abusi sessuali sulle donne. “In questo momento, è la donna che subisce uno stupro che viene marchiata con l’infamia e bandita a causa di esso”, afferma il Dottor Denis Mukwege Mukengere, direttore del Panzi Hospital di Bukavu nella Repubblica Democratica del Congo. “Oltre alle leggi, dobbiamo far sì che vengano inflitte sanzioni sociali in favore della donna. Dobbiamo arrivare alla situazione in cui la vittima riceve il sostegno della comunità mentre è l’uomo che la stupra che viene marchiato con l’infamia, bandito e punito da parte dell’intera comunità”[5].
In conclusione, ad oggi, la violenza sessuale rappresenta una minaccia per la stabilità dei governi e la sicurezza delle Nazioni poiché comporta la disgregazione e dissoluzione delle società civili e può risultare spesso d’intralcio per l’instaurazione della pace a seguito di conflitti, come accaduto in Chad, nella Repubblica del Centro Africa, in Nepal, Sri Lanka, Timor Est, Liberia, Sierra Leone e Bosnia Erzegovina. La seguente cartina mostra quanto sia stato diffuso il ricorso a pratiche di violenza di genere nei conflitti sviluppatisi dopo il 1945.
La violenza sessuale è stata utilizzata anche nel corso di elezioni politiche, scioperi e disordini civili in Egitto durante le proteste contro il regime di Mubarak nel 2011, Siria e Iraq nel corso dei recenti conflitti e in molti altri Paesi, tra cui Guinea e Kenya, generando effetti dirompenti. In Tunisia, le pratiche di violenza sessuale messe in atto dal regime di Ben Alì tra il 1990 e il 2011 hanno contributo allo sviluppo delle sollevazioni popolari che hanno condotto al crollo del regime nel 2011. Nonostante la rilevanza del tema, la comunità internazionale rimane spesso silente di fronte a tali episodi, preferendo dare maggior risalto ad altri aspetti legati allo svolgimento dei conflitti; pertanto, è auspicabile l’adozione di una nuova prospettiva che tenga conto dell’impatto delle guerre contemporanee nelle società civili e del ruolo fondamentale svolto delle donne all’interno delle varie comunità.
Nota della Redazione: Il presente articolo è stato redatto sulla base delle informazioni e riflessioni fornite durante l’incontro tenuto dalla Professoressa Micaela Frulli presso la Scuola di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” il 29/09/2017, organizzato nell’ambito del Seminario permanente dell’Università degli Studi di Firenze chiamato “Contrastare la violenza verso le donne. Un impegno per l’università“.
Note:
[1] Centro Regionale d’Informazione delle Nazioni Unite. Disponibile su: http://unric.org/it/attualita/27989-la-violenza-sessuale-uno-strumento-di-guerra.
[2] Ibidem.
[3] Articolo 5, Statute of the International Tribunal for the Former Yugoslavia, adottato il 25 maggio 1993 dalla Risoluzione 82 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, disponibile su: http://www.icls.de/dokumente/icty_statut.pdf.
[4] Articolo VII, Statuto della Corte Penale Internazionale, Roma, 2002. Disponibile su http://www.cirpac.it/pdf/testi/Statuto%20di%20Roma%20della%20Corte%20Penale%20Internazionale.pdf.
[5] Centro Regionale d’Informazione delle Nazioni Unite, “La violenza sessuale: uno strumento di guerra“. Disponibile su: http://unric.org/it/attualita/27989-la-violenza-sessuale-uno-strumento-di-guerra.
Bibliografia:
- Centro Regionale d’Informazione delle Nazioni Unite, “La violenza sessuale: uno strumento di guerra“.
- House of Lords, Select Committee on Sexual Violence in Conflict, Report of Session 2015-2016, “Sexual Violence in Conflict: A War Crime“, Londra, marzo 2016.
- Statute of the International Tribunal for the Former Yugoslavia, New York, 1993.
- Statuto della Corte Penale Internazionale, Roma, 2002.
- UN, Security Council Report S/2015/203, 23 marzo 2015.
- Leila El-Houssi, “Il risveglio della democrazia: la Tunisia dall’indipendenza alla transizione”, Carocci Editore, 2013.
Sitografia:
- http://unric.org/it/attualita/27989-la-violenza-sessuale-uno-strumento-di-guerra.
- http://www.cirpac.it/pdf/testi/Statuto%20di%20Roma%20della%20Corte%20Penale%20Internazionale.pdf.
- http://www.icls.de/dokumente/icty_statut.pdf.
- http://www.securitycouncilreport.org/atf/cf/%7B65BFCF9B-6D27-4E9C-8CD3-CF6E4FF96FF9%7D/s_2015_203.pdf.
- https://publications.parliament.uk/pa/ld201516/ldselect/ldsvc/123/123.pdf.
Elaborato revisionato dalla Professoressa Micaela Frulli.
Ambra Cappellini
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