Sono ormai diversi anni che il governo di Parigi coopera attivamente con i paesi del cosiddetto “G5 Sahel” (Burkina Faso, Ciad, Mali, Niger e Mauritania)[1] per contrastare la persistente minaccia dei gruppi islamisti in quella regione dell’Africa sub-sahariana che gli arabi chiamano “bordo del deserto”. Il 1° agosto 2014 la Francia ha infatti dato avvio a un intervento militare in loco di durata indefinita chiamato Operazione Barkhane[2], in cooperazione con i suddetti partners della regione. La missione, pur essendo principalmente finalizzata a contenere la minaccia di Al Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI), ha anche lo scopo di impedire un collegamento tra Boko Haram e gli altri gruppi terroristici di matrice islamica nel Sahel, oltre che salvaguardare una serie di interessi strategici per i transalpini.
Le operazioni militari nel continente africano non sono qualcosa di nuovo nella storia delle Forces armées françaises, ma oggigiorno gli obiettivi strategici e le motivazioni alla base degli interventi sono drasticamente cambiati. Se infatti in passato le truppe francesi venivano schierate nei territori delle ex colonie per defenestrare o favorire l’insediamento di un determinato governo, oppure per fermare gli spargimenti di sangue derivati da una rivoluzione o una guerra civile, l’obiettivo odierno è il terrorismo jihadista che opera nel vasto territorio francofono del Sahel. L’attivismo francese nella regione non deve stupire: nonostante la fine dell’Empire, le ex colonie non si sono mai realmente distaccate dal cordone ombelicale che le legava a Parigi, la quale, dal canto suo, non ha alcun interesse a perdere il controllo di un territorio ricchissimo di materie prime e con cui ha intrecciato legami di natura economica, politica e culturale difficilmente eliminabili. Si tratta di una relazione così particolare ed intensa tra ex madrepatria ed ex colonie che già nel 1963 il presidente della Costa d’Avorio Félix Houphouët-Boigny l’aveva chiamata “Françafrique”[3].
L’Operazione Barkhane succede sia all’Operazione Serval – iniziata l’11 gennaio 2013 per riconquistare il nord del Mali caduto nelle mani dei jihadisti durante la primavera del 2012[4] – sia all’Operazione Épervier, avviata in Chad nel lontano 13 febbraio 1986 per ottenere il ritiro delle forze libiche dalla striscia di Aozou, che era stata occupata dalle truppe di Tripoli nel corso del conflitto libico-ciadiano[5]. A livello logistico, circa 3.500 soldati francesi sono stati schierati in quattro basi permanenti, collocate in diverse aree della regione[6]: il quartier generale è stato stabilito nella capitale ciadiana di N’Djamena, dove sono state dislocate anche le forze aeree previste per l’operazione; una base regionale si trova a Gao, situata nel nord del Mali, con almeno 1.000 uomini; una base del Commandement des opérations spéciales (COS) è stata collocata a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso; infine, nella capitale nigerina di Niamey sono state stabilite sia una base di intelligence, con oltre 300 uomini, sia una base aerea, che ospita tra l’altro droni adoperati per operazioni di ricognizione sull’intera regione del Sahel. A tali basi permanenti si aggiungono diverse basi temporanee con una media di trenta o cinquanta uomini, in base alle esigenze delle operazioni militari. Le forze francesi sono ora coadiuviate dai circa 5000 uomini della Force Conjointe Transfrontalière du G5 Sahel, istituita il 2 giugno 2017, che ha ricevuto l’endorsement dell’Unione Africana e il riconoscimento da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite tramite la Risoluzione 2359 del 21 giugno 2017[7].
L’allora presidente François Hollande fu uno dei maggiori sostenitori di questo intervento militare, da lui personalmente annunciato nel luglio 2014[8]. Troppi erano gli interessi in gioco per Parigi per non entrare direttamente nel conflitto tra forze governative e jihadisti e cercare di ristabilire finalmente l’ordine nella regione. E non a caso, il suo successore Emmanuel Macron, che nel suo primo viaggio extraeuropeo ha visitato proprio le truppe francesi impiegate nel Sahel, è deciso a proseguire in tale impegno[9]. Per la Francia, il controllo e la stabilità di questa vasta regione hanno infatti un’importanza strategica fondamentale, che va al di là del mantenimento di solidi rapporti tra la République Française e le ex colonie, dal momento che il controllo dell’uranio e del petrolio del Sahel costituisce uno dei pilastri dell’attuale geopolitica francese nell’Africa sub-sahariana[10]. Per dare alcuni numeri, soltanto in Niger la società francese Areva estrae mediamente il 30% del fabbisogno di uranio per le centrali nucleari di sua proprietà in Francia, mentre, tra Niger e Mali, Parigi possiede tre miniere di uranio che risultano indispensabili per l’approvvigionamento energetico interno[11]. L’esplosione dello jihadismo nella regione rischia di mettere a rischio l’accesso francese a queste vitali fonti energetiche e quindi compromettere l’intero equilibrio energetico del paese, basato in larghissima parte sull’energia prodotta dalle centrali nucleari sul territorio nazionale. Di conseguenza, l’Operazione Barkhane si configura come uno strumento fondamentale per proteggere innanzitutto gli interessi energetici statali. A ciò si aggiunge la necessità di controllare l’imponente traffico di migranti che, proprio attraverso la cosiddetta “rotta del Sahel”, arrivano sulle coste nordafricane per giungere in Europa[12]: si tratta di un altro importante fattore che spiega come per Parigi l’intervento militare nella regione debba essere letto come questione attinente alla sicurezza interna francese, prima ancora che internazionale.
Ad ogni modo, il successo dell’iniziativa transalpina nel Sahel dipenderà anche dai risultati conseguiti dalla Force Conjointe Transfrontalière du G5 Sahel, che negli ultimi mesi – in particolare dopo il Summit di La Celle-Saint-Cloud del 13 dicembre 2017 – ha ricevuto un notevole sostegno economico e materiale da diversi attori statali e internazionali[13]. L’Unione Europea ha stanziato circa 50 milioni di euro attraverso l’African Peace Facility, mentre lo sforzo francese a sostegno dei partners impegnati nella regione ammonta a circa 8 milioni di euro, prevalentemente sotto forma di supporto logistico e operativo; sono previsti per il futuro ulteriori aiuti unilaterali da parte di diversi Stati europei, in primis della Germania. Gli Stati Uniti hanno stanziato circa 60 milioni di dollari a favore della coalizione del “G5 Sahel”, i cui membri contribuiranno per circa 10 milioni di euro ciascuno. Infine, un decisivo sostegno economico è stato fornito da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, i cui rispettivi contributi possono essere approssimati a 100 milioni e 30 milioni di euro.
A ciò si deve aggiungere l’incidenza della missione italiana in Niger, annunciata dal presidente del Consiglio italiano Paolo Gentiloni in occasione del Summit di La Celle-Saint-Cloud del 13 dicembre 2017 e approvata dal Parlamento italiano il 17 gennaio 2018[14], oltre all’efficacia degli altri interventi militari nella regione del Sahel organizzati o previsti da Belgio, Germania e Spagna. Inoltre, la Risoluzione 2359 del 21 giugno 2017 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha previsto il coordinamento delle attività della Force Conjointe Transfrontalière du G5 Sahel con quelle della United Nations Multidimensional Integrated Stabilization Mission in Mali (MINUSMA), approvata dallo stesso Consiglio di Sicurezza con la Risoluzione 2100 del 25 aprile 2013 per sostenere le autorità maliane nel riportare l’ordine nel paese[15]. In virtù di questo variegato sostegno internazionale, diretto o indiretto, il governo di Parigi potrà eventualmente alleggerire nel prossimo futuro gli organici previsti per l’Operazione Barkhane, pur mantenendo il comando dell’iniziativa militare nella vasta regione del Sahel.
Note:
[1] Secrétariat Permanent du G5 Sahel, http://www.g5sahel.org/index.php.
[2] Ministère des Armées, Opérations, Sahel, https://www.defense.gouv.fr/operations/operations/sahel.
[3] Ian Taylor, The International Relations of Sub-Saharan Africa, April 01, 2010, p. 51.
[4] Ministère des Armées, Opérations achevées, Opération Serval (2013-2014), https://www.defense.gouv.fr/operations/operations/autres-operations/operations-achevees/operation-serval-2013-2014.
[5] Ministère des Armées, Opérations achevées, Opérations Épervier au Tchad (1986-2014), https://www.defense.gouv.fr/operations/operations/autres-operations/operations-achevees/operations-epervier-1986-2014.
[6] Maxime H.A. Larivé, Welcome to France’s New War on Terror in Africa: Operation Barkhane, The National Interest (TNI), August 7, 2014, http://nationalinterest.org/feature/welcome-frances-new-war-terror-africa-operation-barkhane-11029.
[7] Ministère de l’Europe et des Affaires étrangères (MEAE), French Foreign Policy, Defence & Security, Crisis and Conflicts, G5 Sahel Joint Force and the Sahel Alliance, https://www.diplomatie.gouv.fr/en/french-foreign-policy/defence-security/crisis-and-conflicts/g5-sahel-joint-force-and-the-sahel-alliance/.
[8] Hollande announces new military operation in West Africa, France 24, July 19, 2014, http://www.france24.com/en/20140719-hollande-announces-new-military-operation-west-africa/.
[9] Andrea de Georgio, Sahel, il “nuovo approccio” di Macron per combattere il terrorismo, 03 luglio 2017, http://www.ispionline.it/it/pubblicazione/sahel-il-nuovo-approccio-di-macron-combattere-il-terrorismo-17065.
[10] Uranio e petrolio, ecco perché i francesi tengono così tanto al Mali, Il Sole 24 ORE, 14 febbraio 2013, http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-02-13/uranio-petrolio-ecco-perche-193757.shtml?uuid=AbXknBUH.
[11] Mines d’uranium: “la France n’a pas intérêt à ce que le conflit malien s’étende au Niger”, Le Monde, 31 janvier 2013, http://www.lemonde.fr/afrique/article/2013/01/31/mines-d-uranium-la-france-n-a-pas-interet-a-ce-que-le-conflit-malien-s-etende-au-niger_1825026_3212.html.
[12] Luca Raineri e Alessandro Rossi, The Security-Migration-Development Nexus in the Sahel: A Reality Check, Istituto Affari Internazionali (IAI), September 25, 2017, http://www.iai.it/sites/default/files/iaiwp1726.pdf.
[13] Ministère de l’Europe et des Affaires étrangères (MEAE), French Foreign Policy, Defence & Security, Crisis and Conflicts, G5 Sahel Joint Force and the Sahel Alliance, https://www.diplomatie.gouv.fr/en/french-foreign-policy/defence-security/crisis-and-conflicts/g5-sahel-joint-force-and-the-sahel-alliance/.
[14] Camera dei Deputati (XVII Legislatura), Documenti, Temi dell’attività parlamentare, Autorizzazione e proroga di missioni internazionali per l’anno 2018, http://www.camera.it/leg17/522?tema=autorizzazione_e_proroga_di_missioni_internazionali_per_l_anno_2018_.
[15] United Nations Peacekeeping, United Nations Multidimensional Integrated Stabilization Mission in Mali (MINUSMA), https://minusma.unmissions.org/en.
Luca Galantini
Rispondi