Nelle settimane passate un nuovo mantra, che risponde al nome di coronavirus o COVID-19 per gli addetti ai lavori, ha catturato le luci della ribalta, riuscendo ad assicurarsi il febbrile interesse di ogni testata giornalistica desiderosa di dedicargli la prima pagina. A proposito di questo delicato argomento, una delle domande che è lecito porsi potrebbe essere: “cosa c’entra un virus con l’economia? Sicuramente niente, almeno con la nuova macchina che ho intenzione di acquistare!”. Sbagliato.
Prima ancora di affrontare le implicazioni economiche – e di riflesso politiche – che la nuova pandemia [1] che ha avuto epicentro nella città di Wuhan ha prodotto e potrebbe produrre in futuro, è necessario introdurre il concetto che in un certo qual modo è stato il vettore principale della sua diffusione nei tessuti dell’economia mondiale, vale a dire le Global Value Chains (GVC). Questo concetto, con buona pace degli economisti più intransigenti, può essere brevemente riassunto come quel processo organizzativo del lavoro in base al quale le singole fasi della filiera produttiva vengono parcellizzate e svolte da fornitori e reti di imprese sparse in diversi Paesi in base alla convenienza economica e al grado di competenza e specializzazione delle diverse aziende coinvolte. Ma perché sono così importanti? Un esempio concreto arriva proprio dal settore automobilistico: non è un mistero che buona parte della componentistica meccanica dei nostri veicoli provenga da paesi che permettono di abbattere i costi di produzione e la Cina non fa eccezione, così come la Hyundai, la celebre casa coreana, che negli ultimi anni ha saputo conquistare porzioni via via crescenti del mercato automobilistico mondiale, soprattutto cinese. La quarantena forzata imposta da Pechino ha significato per la casa di Seul una contrazione imponente del proprio mercato [2], fatto che ha portato sia ad un notevole abbassamento delle unità prodotte – quindi ad un aumento dei prezzi – sia ad esuberi sul posto di lavoro risolti attraverso il congedo forzato di quasi 30.0000 operai. Per comprendere meglio l’importanza economica della Cina, è sufficiente pensare alla quantità di prodotti e commodities indissolubilmente legati alla salute della sua economia, che secondo vari economisti, al netto di shock esterni come quello rappresentato dal coronavirus, nel prossimo decennio faticherà a mantenere un tasso di crescita del 4% a dispetto della soglia minima del 6% sotto la quale non era mai scesa negli ultimi anni [3]. Dai canali di Pechino passa infatti la costruzione di software e hardware indispensabili per smartphone, PC e numerosi altri prodotti tecnologici. Ma non solo: la Cina rappresenta anche un ricchissimo mercato per le esportazioni di paesi esteri, soprattutto per quanti hanno fatto dell’export di lusso il proprio canale preferenziale, un business fruttifero miliardi di dollari.
Oltre ai settori citati, è necessario tenere in considerazione anche un altro mercato di vitale importanza sia per la Cina sia per il mondo nel suo insieme: quello petrolifero. Stando a quanto riportato dalla International Energy Agency (IEA), si prevede che la domanda di petrolio farà registrare il più lento tasso di crescita dal 2011 ad oggi: una produzione – analogo discorso per i suoi derivati – rallentata di circa il 30% rispetto alle stime per il medesimo periodo. La IEA ha infatti stimato che la domanda di petrolio nel 2020 aumenterebbe di 825.000 barili al giorno, in calo rispetto agli 1,2 milioni inizialmente previsti [4]. Il coronavirus arriva in un momento già delicato per il mercato petrolifero, i cui altalenanti equilibri fra domanda ed offerta erano già stati messi alla prova dalle previsioni secondo le quali alcuni paesi industrializzati, in particolare Stati Uniti, Brasile, Canada e Norvegia, avrebbero superato la produzione dei paesi facenti parte dell’OPEC entro il 2020. Stando ai dati della BBC il costo del greggio avrebbe già toccato il livello più basso dell’anno dopo essere sceso del 20% dal picco di gennaio. Ma perché i prezzi globali del petrolio sono scesi così tanto e perché, oltre a rinnovati disequilibri sul mercato, il coronavirus potrebbe aver giocato un ruolo centrale? La diffusione del coronavirus ha significato, come precedentemente ricordato, l’inizio di una quarantena che ha coinciso con la fine delle vacanze del Capodanno cinese che sono state così allungate in maniera sensibile. E per la Cina, che oltre ad essere il Paese più popoloso al mondo, risulta anche essere il maggior acquirente di petrolio e produttore dei suoi derivati, queste “vacanze forzate” hanno significato l’impossibilità per decine di milioni di persone di riprendere le proprie attività, con la conseguente chiusura di imprese, industrie, centrali e attività varie. In sintesi, il più grande importatore mondiale di petrolio greggio, che consuma mediamente circa 14 milioni di barili al giorno, ha bisogno di molto meno petrolio per alimentare macchinari, alimentare veicoli e mantenere le luci accese. Varie fonti, fra cui la BBC [4] ed il sito specializzato OilPrice.com [6], riferiscono che il consumo giornaliero di greggio della Cina sia crollato di circa il 20%, inducendo alcuni dei più grandi gruppi di estrazione cinesi a tagliare sensibilmente la propria produzione. A fronte di questo crollo della domanda, con la speranza che rimanga confinato alla sola Cina e non si estenda ad altri paesi asiatici, l’eccesso di offerta ha fatto sì che i prezzi del petrolio si abbassassero, situazione che ha preoccupato i paesi produttori, specialmente quelli del cartello OPEC che con ogni probabilità dovranno operare tagli nella produzione ed adottare ulteriori misure per risollevare i prezzi in calo.
Concludendo, è quindi possibile asserire che per quanto gli scenari futuri siano assolutamente incerti, una parte sensibile dell’economia mondiale potrà essere influenzata da questa nuova variabile capace di colpire tanto duramente la seconda economia mondiale nonché perno insostituibile della crescita economica globale, dalla cui salute economica dipendono giri d’affari da miliardi e miliardi di dollari.
A cura di Francesco Gavazzi
Note:
[2] Joyce Lee, Hyunjoo Jin, “Hyundai bet big on China. Now coronavirus is twisting its supply chain”, Reuters, https://www.reuters.com/article/us-china-health-hyundai-supplier/hyundai-bet-big-on-china-now-coronavirus-is-twisting-its-supply-chain-idUSKBN206327.
[3] SidenyLeng, “China could struggle to keep growth above 4 per cent over next decade, warns prominent economist”, South China Morning Post, https://www.scmp.com/economy/china-economy/article/3039786/china-could-struggle-keep-growth-above-4-cent-over-next.
[4] Agi, “Anche l’Aie taglia le stime sulla domanda di petrolio”, Agenzia italiana, https://www.agi.it/economia/news/2020-02-14/petrolio-aie-taglia-stime-domanda-7080623/.
[5] BBC, “Coronavirus and oil: Why crude has been hit hard”, BBC, https://www.bbc.com/news/business-51353146.
[6] Irina Slav, “What Will Oil Prices Do After The Coronavirus?”, OilPrice.com, https://oilprice.com/Energy/Crude-Oil/What-Will-Oil-Prices-Do-After-The-Coronavirus.html.
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