Le grandi potenze e l’Afghanistan: quarant’anni di tormenti [Parte I]

«PARTE I: CONFLITTI A CONFRONTO»

 

L’Unione Sovietica

L’Afghanistan vantava con l’Unione Sovietica un rapporto lontano nel tempo. Anzitutto era confinante con la parte meridionale dell’URSS e strategicamente rilevante in quanto collegamento territoriale con l’India. Già all’inizio del secolo, il re afghano Amānullāh Khān riconobbe il governo bolscevico instauratosi a Mosca e molti furono i trattati di cooperazione fra il 1921 ed il 1931, che culminarono in cooperazioni anche di tipo economico, come le prime indagini congiunte sui giacimenti petroliferi iniziate nel 1958, fino ad arrivare forse al più importante, quello firmato dai rispettivi capi di stato, Brezhnev e Taraki nel 1978[i]. Dunque, un pretendente antico, con il quale l’URSS visse un amore turbolento, che durò 10 anni e contribuì a far vacillare l’intero impianto sovietico, indebolendolo dall’interno[ii]. L’amore o presunto tale, fra i due, poggiava i piedi sull’ideale di un comunismo pienamente realizzato, promesso in patria da Kruscev, ed esportato con il nuovo presidente, Brezhnev, che emanando l’omonima dottrina, legittimava ogni intervento sovietico laddove un governo comunista ne chiedesse l’azione, poco contava se le azioni della sua dottrina avrebbero vanificato gli accordi volti a sancire la situazione geopolitica dell’Europa stabiliti ad Helsinki nel 1975.

In Afghanistan, il Partito Democratico Popolare, di ispirazione marxista-leninista, aveva preso il potere nel 1978 con la Rivoluzione di Saur[iii] e la nascente Repubblica Democratica (RDA) guidata da Nur Muhammad Taraki, (che la amministrò brevemente venendo ucciso in una sparatoria “per misteriosa malattia”) poi sostituito da Hafizullah Amin[iv] a capo della RDA, intraprese un’opera di decostruzione di alcuni connotati ben barbicati nel territorio afghano, prima fra tutte con l’intenzione di proclamare l’ateismo di stato (prerogativa della filosofia leninista). Si verificarono pertanto numerosi scontri ed insurrezioni con i guerriglieri delle fazioni religiose, ed i sovietici intervennero per aiutare il suo alleato filomarxista a ristabilire l’ordine. Richieste di aiuto partirono da Taraki, poi da Amin, fondendo al PCUS un pretesto per iniziare una rovinosa occupazione del paese, con la presa di Kabul, alla Vigilia di Natale del 1979. Era l’inizio di un calvario che durò ben dieci anni, le cui principali motivazioni sono forse da ricercare, come si vedrà più avanti, più in fattori socio-religiosi che non militari, soprattutto per l’appoggio fornito ad un governo impopolare. Per di più, non mancarono gli aiuti ed i finanziamenti esterni ai gruppi di combattenti[v].

Il miglior alleato in guerra per i Sovietici furono i mezzi aerei[vi] laddove le poche esistenti strade si dimostrarono difficilmente praticabili e resero oltremodo faticoso il combattimento via terra. L’esercito locale era inoltre impreparato, mentre i ribelli si barricavano in alture ed in bunker, creando posizioni agevolmente difendibili anche al cospetto di forze numericamente sovrastanti.

Il risultato fu un conflitto logorante, che si concluse nel 1989, quando le ultime truppe rientrarono per volere di M. Gorbachev, dopo aver perso tredicimila uomini e dopo una ritirata che valse al generale Boris Gromov il titolo di eroe. Ritiratasi l’Armata Rossa, sebbene i sovietici avessero armato fino ai denti l’esercito locale, da lì a poco il governo afghano sarebbe piombato nel caos. Con il crollo dell’Unione Sovietica, si realizzò inoltre come il Paese fosse fortemente dipendente dagli aiuti economici di Mosca[vii].

 

Gli Stati Uniti d’America

Dopo il 1989 ed il ritiro delle truppe dell’Armata Rossa, l’attenzione degli USA nei confronti dell’Afghanistan sembrò scemare, nonostante gli intensi contatti che negli anni precedenti c’erano stati con le amministrazioni Carter e Regan[i], i mujaheddin ed i talebani[ii], a supporto spesso dei combattenti, per fornire una valida controffensiva all’espansione sovietica e del comunismo, nel pieno stile della Guerra Fredda.

È utile inoltre sottolineare come il Paese fosse ancora lontano da una qualsiasi stabilità politica, giacché la situazione dopo la caduta del regime comunista e gli accordi di Peshaward[iii] dell’aprile del ‘92[iv], fu scossa da conflitti interni, fino che, a partire dal 1996, i Talebani presero il controllo di un territorio frammentato e socialmente instabile[v] che sarà governato, a partire da quel momento, secondo i canoni di uno stato fortemente islamizzato, integralista e caratterizzato da una interpretazione molto rigida del Corano.

Quello che negli Stati Uniti nel 1992, parlando del fallimento sovietico, veniva definito un “piccolo Paese senza sbocchi sul mare dell’Asia meridionale”, (“small, landlocked South Asian country”)[vi], sarebbe diventato, nell’arco di un decennio, uno dei fulcri degli affari militari della superpotenza americana nel Medio Oriente.

La scintilla fu l’11 settembre 2001, il carburante un’amministrazione che non perse certo l’opportunità di poter sancire l’intoccabilità della super potenza americana, per la prima volta fisicamente minacciata nel cuore del suo territorio. Così, meno di un mese dopo l’attacco a Manhattan, il 7 ottobre, le truppe americane partirono con un unico scopo: liberare il mondo dal terrorismo estremista islamico, capeggiato dagli adepti di al-Qāʿida, responsabili della caduta delle Twin Towers. Il ricercato numero uno del pianeta divenne Osama Bin-Laden, leader della coalizione terrorista e che verrà ucciso nel Maggio 2011[vii].

Alla base della risposta militare americana, un atto di guerra perpetrato dai terroristi nel cuore di New York, che ottenne prima l’appoggio dell’Inghilterra, successivamente l’appoggio nelle nazioni dell’Occidente. A tale scopo venne creata una coalizione per coordinare le operazioni, l’International Security Assistance Force (ISAF) dal 2003, poi tramutata nella missione Resolute Support (RS), entrambe sotto l’egida nella NATO[viii].

Non si parlava solo di guerra: erano previsti piani per la ricostruzione voluti dal presidente Bush, che prevedevano 36 miliardi di dollari fino al 2009[ix], l’appoggio per una costituente del 2004 diede un presidente all’Afghanistan, Karzai. Ma nonostante un lento processo di democratizzazione avanzasse, gli attacchi negli anni non si sono fermati, nemmeno di fronte all’intraprendenza del presidente americano Obama di sconfiggere il terrorismo di al-Qāʿida ad ogni costo. Tant’è che al decimo anno di conflitto, si annunciò il primo dei tanti successivi ritiri delle truppe come quello del 2014, mentre gli attacchi dei talebani continuavano, costringendo de facto gli Stati Uniti a valutare le forme di negoziazione con gli stessi ribelli. La risoluzione del conflitto, recentissima, ma in un clima piuttosto raffermo, prevede dunque il ritiro delle truppe dei contingenti internazionali e vari accordi con i talebani, fra cui il più importante, tagliare i legami con al-Qāʿida e Daesh[x].

Come trent’anni prima, chi lascia oggi l’Afghanistan sembra aver affrontato oneri di gran lunga superiori ai risultati, soprattutto quelli di lungo periodo. È forse questa la principale similitudine fra i due conflitti.

 

Mal comune, mezzo gaudio…?

Si possono qualificare alcune costanti fra i due conflitti in Afghanistan dell’ultimo mezzo secolo, alcune dinamiche comuni che condizionarono e condizionano le scelte dell’Unione Sovietica prima e degli Stati Uniti poi, durante i rispettivi conflitti, quali: geografia, ideologia dell’invasore, pregresse questioni endemiche, complessità degli interessi.

Importante in primis, per ragioni tattiche e strategico-militari, la questione geografica[xi]; ne è prova la lunghezza – e l’insuccesso – di entrambi i conflitti. Quello Afghano è infatti un territorio senza sbocchi sul mare, diviso dal Paropamiso (o Hindū Kūsh), una catena montuosa che taglia a metà l’intero Paese, a sua volta intercorsa da altopiani desertici ed un terreno frastagliato da millenni di terremoti che hanno creato affascinati e tipici paesaggi caratterizzati da strettoie e passaggi che, sia strategicamente e militarmente, risultano molto insidiosi. A ciò va aggiunto che gli altipiani sono battuti da un clima freddo in inverno e torrido in estate. Per lo più scarse di minerali fossili[xii], (ma ricche, pare, di minerali d’interesse per l’industria tecnologica[xiii]), le poche zone di pianura si trovano nel nord ed il paesaggio roccioso è stato ampiamente sfruttato dai mujaheddin per scampare agli attacchi nemici e tendere imboscate. Le strade, assenti fino a qualche anno fa, sono spesso distese ai piedi delle vallate, rendendo i viandanti soggetti ad imboscate.

In secondo luogo, è fondamentale porre attenzione alla caratterizzazione etnico sociale alla base della struttura della collettività afghana: sulla tenace componente culturale e le maniera in cui essa ha influenzato entrambi i conflitti citati è stata prodotta, non a caso, una folta quantità di studi scientifici e pubblicazioni. Per brevità è sufficiente ricordare che in Afghanistan si contano numerose minoranze etniche ed una frammentata spirale di peculiarità linguistiche locali. Fra le tante etnie, la più radicata nel territorio periferico della regione del Pashtunistan[xiv], fra le alture a cavallo con il Pakistan, è la minoranza Pashtun, quella più fortemente radicalizzata[xv].

La problematica legata al fattore etnico e culturale in Afghanistan è dunque un fattore endemico, noto già ai tempi del colonialismo inglese e sino dall’indipendenza del Paese, giacché etnie e differenze linguistiche[xvi] hanno storicamente impedito un’unificazione del Paese come accaduto invece in regioni vicine[xvii]. Anche la moderna Costituzione Afghana, all’articolo 16, riporta quali sono le lingue ufficiali[xviii] decretando il riconoscimento delle etnie come parte integrante della comunità.

Al netto di quanto detto nelle ultime righe, il vero unico collante pare essere la religione musulmana sunnita.

Si può dunque immaginare come lo stimolo esterno abbia giocato e giochi un ruolo chiave alla base di ogni sorta di problema: le ideologie laiche, ateiste, comuniste o liberali, “importate” dagli invasori, difficilmente possono attecchire in un così arido terreno. Tanto basta a spiegare una buona parte delle difficoltà militari dei conflitti sopra citati: se scientificamente è difficilmente quantificabile il fervore di una credenza, i risultati ottenuti in entrambi i conflitti hanno una cosa in comune: per dirla in breve, tanta spesa, poca resa. Ciò basti come un’evidente certificazione del fatto che lo scontro fra le ideologie è in certi casi più che mai fondamentale e quanto più esse siano radicate siano sul territorio, tanto più influenzano profondamente i conflitti, il modo di combattere e, da ultimo, i risultati di lungo periodo.

 

A cura di Francesco Cappelletti

 

Note:

[i] D. B. EDWARDS, “Before Taliban: Genealogies of the Afghan Jihad”, University of California Press, Ltd. London (2002).

[ii] Per Mujaheddin si intende qualsiasi combattente che sostenga la propria battaglia per la fede islamica (https://www.britannica.com/topic/mujahideen-Islam). Si è parlato spesso negli anni invece di “talebani” per indicare i gruppi etnici dell’Afghanistan, il che è limitativo. I Talebani erano infatti studenti o neolaureati del sud dell’Afghanistan e nelle zone adiacenti del Pakistan. L’origine stessa del movimento rimane oscura, ma alla base vi erano gli ideali di restaurazione della fede e la purificazione di una politica corrotta e senza Dio. Il movimento fu per altro relativamente passivo fino al 1994 ed alla presa del potere del ‘96. Si veda: Global Security, “Islamic Republic of Afghanistan – 1992-1995”, https://www.globalsecurity.org/military/world/afghanistan/history-republic-2.htm.

[iii] Di seguito il testo: https://ucdpged.uu.se/peaceagreements/fulltext/Afg%2019920424_PESHAWAR%20ACCORD.pdf.

[iv] J. SIFTON, “Blood-Stained Hands, Past Atrocities in Kabul and Afghanistan’s Legacy of Impunity”, Human Right’s Watch, https://www.hrw.org/report/2005/07/06/blood-stained-hands/past-atrocities-kabul-and-afghanistans-legacy-impunity (06/07/2006).

[v] A. RASHID, “Taliban: Islam, Oil and the New Great Game in Central Asia”, I.B.Tauris, London,  ISBN 9781860648304 (2002).

[vi] COLONEL D. J. EFLEIN, “Afghanistan – a Soviet Failure” United States Air Force, U.S. Army War College, Carlisle Barracks, PA 17013-5050 (16/02/1992).

[vii] HISTORY, “Osama bin Laden killed by U.S. forces”, articolo online, https://www.history.com/this-day-in-history/osama-bin-laden-killed-by-u-s-forces (02/05/2011).

[viii] EURONEWS, “Afghanistan, dopo 13 anni si conclude la missione Isaf”, articolo online, https://it.euronews.com/2014/12/28/afghanistan-dopo-13-anni-si-conclude-la-missione-isaf (28/12/2014).

[ix] Il 17 Aprile 2002 esordì con queste parole al Virginia Military Institute: “By helping to build an Afghanistan that is free from this evil and is a better place in which to live, we are working in the best traditions of George Marshall […]”.

[x] J. HANSLER, “US and Talibans sign historic agreement”, CNN, https://edition.cnn.com/2020/02/29/politics/us-taliban-deal-signing/index.html (29/02/2020).

[xi] Si veda: R. GOPALAKRISHNAN, “The Geography and Politics of Afghanistan”, Concept Publishng Company, New Delhi (1982).

[xii] Ibid. R. GOPALAKRISHNAN (1982), Map 5 Afghanistan mineral, p. 15.

[xiii] In vari articoli: A. DOWD, “Afghanistan’s Rare Earth Element Bonanza”, https://www.fraserinstitute.org/article/afghanistans-rare-earth-element-bonanza; C.Q. CHOI, “$1 Trillion Trove of Rare Minerals Revealed Under Afghanistan”, 04/09/2014, https://www.livescience.com/47682-rare-earth-minerals-found-under-afghanistan.html.

[xiv] Vedi: Enciclopedia Britannica, “Pashtunistan”, https://www.britannica.com/place/Pashtunistan.

[xv] Dall’etnia Pashtun provenivano molti combattenti Mujaheddin, fortemente islamizzati e pronti a liberare lo stato dagli invasori infedeli. Si veda: A. SIDDIQUE, “Part III – Afghanistan”, in “The Pashtun Question”, Hurst & Co., Oxford University Press, NY, (2014) pp. 147-156.

[xvi] Le lingue principali dell’Afghanistan sono Pashto, Farsi, Darbārī (o Farsi orientale, di provenienza persiana), mentre un’altra fonte di gruppi linguistici afghani è geograficamente legata agli Urali ed al nord del paese, che includono le varie etnie come quella uzbeka e kirghisa. Ma esistono molti altri dialetti e lingue minoritarie. Ibid. A. RASHID (2012).

[xvii] Mentre i numerosi e diversi gruppi etnici e linguistici rappresentano un grosso ostacolo nel consolidamento di una nazione stato, una forza unificante potenzialmente maggiore è costituita dalle credenze religiose afghane, composte al 99% dalla fede islamica e l’80% delle persone che professano questa religione è sunnita.

[xviii] Art. 16 “Constitution of the Islamic Republic of Afghanistan”, Official version: “Pashtu, Dari, Uzbeki, Turkmani, Baluchi, Pashai, Nuristani, Pamiri (alsana), Arab and other languages spoken in the country, Pashtu and Dari are the official languages of the state”, http://www.servat.unibe.ch/icl/af00000_.html#A162 (04/01/2004).

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