Le grandi potenze e l’Afghanistan: quarant’anni di tormenti [Parte II]

«PARTE II: LA FINE DEL CONFLITTO E LE PREROGATIVE DI MOSCA»

 

Presente e futuro

Lo scorso 29 febbraio a Doha, gli Stati Uniti hanno siglato un accordo solenne con le fazioni talebane, in cui si impegnano a ritirare le proprie truppe in cambio di una graduale stabilizzazione della situazione politica interna. Presenti il presidente afghano Ashraf Ghani, il segretario alla difesa americano Mark T. Esper ed il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg.

Oltre ad accordi riguardanti la reciproca riconsegna di prigionieri fra Usa e Talebani, il testo dell’accordo ha uno scopo fondamentale: assicurare una certa stabilità politica al Paese e garantire uno spiraglio di durevolezza dello status quo. L’implicito rischio è legato all’incertezza: non vi è garanzia che una comunità culturalmente molto articolata e saldamente ancorata alle tradizioni non sprofondi nuovamente nell’instabilità generale ed in nuove recrudescenze a livello di conflitti interni[i].

Quella che si è fatta passare per una vittoria – che ovviamente nel caso della pace è una vittoria certa, almeno dal punto di vista umanitario – sembra in realtà una presa di coscienza dell’establishment americano del fatto che restare sarebbe controproducente e forse non del tutto fondamentale agli interessi del Paese.

Va detto che in quarant’anni le condizioni di vita della popolazione Afghana sono nettamente migliorate, dall’approvvigionamento dei servizi essenziali (acqua ed elettricità) sino ad una crescita del prodotto interno lordo, quasi triplicato dal 2000 ad oggi[ii].

D’altro canto, forse un altro vincitore c’è: i Talebani hanno aspettato per quasi vent’anni creando un nuovo tipo di guerriglia ibrida strategicamente improntata al logoramento. Sapevano che, prima o dopo, le proprie idee e valori, avrebbero avuto la meglio sul nemico, anche se su una parte più piccola del territorio. Né l’Occidente né l’Unione Sovietica, e neppure ancor prima l’impero britannico, hanno potuto soggiogare questa impervia terra nel cuore del Medio Oriente.

 

La visione di Mosca

Le prerogative della Federazione Russa in Afghanistan sono oggi ben diverse dai tempi della guerra afghana dell’89, si modellano sulla base del costante perseguimento di obiettivi d’interesse nazionale, di lungo termine e volti a creare uno spazio di manovra geo-politico che segue le linee strategiche portate avanti negli ultimi venti anni

L’atteggiamento della Russia è e resta complicato. Si potrebbe parlare di molte altre cose, ma a parere di chi scrive, la presenza di una missione NATO[iii] nel centro Asia, vista nell’ottica di emancipazione strategica portata avanti da Vladimir Putin a partire dal 2000, sovrasta tutte le altre in quanto ad importanza relativa, rosicchiando lentamente le mura del Cremlino come un piccolo rumorosissimo tarlo.

Si può affermare che la Russia nel tempo abbia mantenuto costante attenzione nei confronti dell’Afghanistan, spinta dal desiderio di mantenere il controllo delle zone di influenza, con determinati obiettivi: mirare ad una stabilità delle amministrazioni locali; perpetrare la lotta al terrorismo; mantenere il controllo delle frontiere. Va da sé che questi fattori si influenzano vicendevolmente. Infatti, la capacità di controllo del territorio da parte di un governo è strettamente legata alla capacità del governo stesso di amministrare i confini tanto quanto le questioni legate al terrorismo internazionale. In tal senso, il Cremlino a partire dagli anni 2000 ha ritenuto vitale supportare importanti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite riguardanti l’Afghanistan, in particolare la n.1267 e la n.1333[iv], volte a osteggiare le azioni dei gruppi terroristici nei territori controllati dai talebani, accusati di fornire appoggio ai gruppi estremisti[v]. La cooperazione fra grandi potenze nella lotta al terrorismo ha determinato un certo grado di stabilità anche per quanto riguarda la cooperazione bilaterale fra Stati Uniti e Federazione Russia – ancor più a partire dal 2011 con l’inaspettato sviluppo degli eventi legati ad ISIS/Daesh – ed ancora oggi in determinati contesti.

Un altro aspetto di vitale importanza per Mosca è il controllo sulle frontiere, per ragioni di sicurezza, ma soprattutto per contrastare il traffico di droga, che è uno dei principali mezzi di sostentamento dei gruppi di terroristi organizzati[vi]. Inoltre, il dilagare della criminalità organizzata, fenomeno che si manifesta specialmente nei paesi confinanti con la Federazione Russa, rischia di creare ulteriori problemi alle politiche regionali di Mosca. Il Cremlino quindi si sente responsabile dei fenomeni regionali ed è in costante cerca di un maggior controllo.

Guardando alla strategia adottata nel medio periodo riguardo l’Afghanistan, si può constatare come Mosca, abbia manifestato la volontà di mantenere i piedi saldamente su due staffe: dapprima attraverso il mantenimento di forti legami con gruppi etnici sul territorio. In tal senso, la Russia annovera rapporti con i talebani a partire almeno dal 1995[vii] per tramite dell’allora ambasciatore Kabulov. Successivamente, sul finire degli anni ’90, quando le forze di opposizione al regime talebano acquisirono consistenza, visto anche il crescente interesse per le potenze occidentali nell’area, Mosca iniziò a fornire aiuti sul territorio Afghano, assieme e per tramite dell’Uzbekistan e del Tajikistan. La Russia sosteneva l’Alleanza del Nord[viii], capeggiata dal famoso Ahmad Shah Massoud – un mujaheddin che fu un mito locale[ix] – in maniera continuativa ed anche quando le forze aree statunitensi e la RAF bombardavano le postazioni talebane, Mosca continuò a sostentare le forze ribelli fino alla liberazione di Kabul nel novembre dello stesso anno[x].

Successivamente, con l’intervento della NATO, non potendo intraprendere azioni unilaterali, la Russia sotto il presidente Medvedev ha dichiarato l’Afghanistan come un punto di interesse comune con gli USA[xi], il che non significa disinteresse, anzi, piuttosto continuare ad usare una мягкая сила (soft power) tipicamente russa: scambi a livello universitario; corsi di formazione per personale civile e militare in Russia; borse di studio per programmi speciali; cooperazioni di varia natura; progetti per l’apertura del centro di cultura russa a Kabul. Azioni che nei primi anni dell’intervento americano hanno caratterizzato le iniziative fra i Paesi. Certamente il “potere soffice”, tale è, limitando la presenza russa sul territorio, almeno fintanto che le missioni NATO restano sul territorio.

Rimaneva comunque alta l’attenzione nei confronti delle questioni legate al traffico di droga, con l’istituzione di un organo dedicato[xii], nonché, sebbene difficilmente documentabili, il capitolo di storia legato alle attività del servizio di intelligence militare[xiii]: a tal proposito si può pensare ad una folta rete di contatti e scambi legati all’ampio numero di specialisti russi nei dialetti e nelle lingue afghane, istruiti durante gli anni della guerra sovietica. Il canale militare d’intelligence resta la chiave per arrivare ad obiettivi secondari e certamente mantenere gli occhi (o le orecchie) sul territorio, specialmente laddove esista una forte componente etnico-culturale, altrimenti insondabile con droni o sistemi militari, per quanto all’avanguardia essi siano.

Se nel 2012 l’ambasciatore russo a Kabul, Avertisyan, affermava come le forze afghane non fossero pronte a sostituire la NATO[xiv], lanciando il monito di non ripetere gli errori sovietici dell’89, alla luce di eventi più recenti, è bene notare come il Cremlino, nonostante i vari impegni e le piccole crisi regionali[xv], sia stato un attento osservatore della situazione afghana, portando avanti risoluzioni congiunte. Le più recenti e vicine agli eventi di Doha, sono quella del 25 ottobre 2019 a Mosca[xvi], che perseguiva il fine di stabilizzare il paese e mirava all’obiettivo della pace per i civili, poi quella del 6 marzo 2020, successiva agli accordi di Doha, ma rilasciata congiuntamente da Federazione Russa e Stati Uniti[xvii].

 

Dunque, un’opportunità?

È curioso considerare come sembri prefigurarsi uno scenario ideale per la Federazione Russa, in entrambi i casi: primo, con il ritiro delle truppe del contingente internazionale, una possibile stabilizzazione del paese garantirebbe solidità anche alle aree limitrofe giovando agli interessi regionali, candidando il Paese a nuovo possibile partner da attrarre verso i propri interessi; se invece il Paese giungesse ad una stabilità politica solo apparente, una volta conclusa la missione Resolute Support, la Russia potrebbe puntare ad interventi più incisivi sul territorio, intensificando la sicurezza nell’area e per farlo potrebbe servirsi dei suoi alleati del CSTO[xviii] (Tagikistan, Kirghizistan e Kazakistan), sostenendo anche i vicini Turkmenistan e Uzbekistan, con strumenti di cooperazione multilaterale negli ambiti della sicurezza e militare, nonché attraverso strumenti della diplomazia. Inoltre, è ragionevole pensare che il Cremlino appoggerebbe nuovi piani di sviluppo regionali, magari ad hoc nell’ambito di una strategia che miri a consolidare l’area di intervento coinvolgendo anche l’Afghanistan.

D’altro canto, non vi è motivo, di escludere in un prossimo futuro l’Afghanistan dai progetti regionali della Russia, ritirate le missioni dell’occidente, perfetta o imperfetta che sarà la stabilità interna al Paese. Il successo di queste possibili visioni sarà determinato dal grado con cui sono e sono stati curati nel tempo i rapporti dal Cremlino con il substrato culturale e se esiste un’intesa fra le élite politiche afghane ed i rappresentanti della Federazione.

Resta, in sostanza, da capire se i contatti avuti nel tempo con le fazioni che attualmente prevalgono in Afghanistan, abbiano creato vicinanza e siano stati proficui o meno.

 

A cura di Francesco Cappelletti

 

Note:

[i] Primo fra tutti l’atteggiamento del presidente Abdullah Abdullah, sconfitto alle elezioni, ma che non riconoscendo tale sconfitta si è autoproclamato amministratore su una parte di territorio.

[ii] https://data.worldbank.org/indicator/NY.GDP.PCAP.KN?locations=AF.

[iii] Si veda la missione NATO “Resolute Support”, https://www.nato.int/nato-on-the-map/#lat=34.5553&lon=69.2075&zoom=0&layer-4&infoBox=97.

[iv] UNSCR 1267, Adopted by the Security Council at its 4051st meeting, on October 10th 1999, https://www.undocs.org/S/RES/1267%20(1999)  (15/10/1999): UNSCR 1333 (2000) Adopted by the Security Council at its 4251st meeting on 19 December 2000, https://www.undocs.org/S/RES/1333%20(2000) (19/12/2000).

[v] La risoluzione n.1267, citava l’art. 13 della risoluzione n.1214, del ’98, in cui si chiedeva ai Talebani “[to] stop providing sanctuary and training for international terrorists and their organizations, and that all Afghan factions cooperate with efforts to bring indicted terrorists to justice […]”.

[vi] P. GRETCHEN, “How Opium Profits the Taliban”, US Institute of Peace, Washington, Pacework n° 62, online version: https://www.usip.org/sites/default/files/resources/taliban_opium_1.pdf (08/2009).

[vii] Si veda la dichiarazione di Medvedev sulla nomina dell’Ambasciatore Kabulov del marzo 2011, http://kremlin.ru/events/president/news/10713.

[viii] M. MENKISZAK, Research assistance K. JARZYFZKA, “The Russian Federation and the Afghanistan problem since 2001”, Centre for Eastern Studies, Warsaw (09/2011), pp. 17-20.

[ix] Massoud, definito anche “Leone del Panjshir”, combatté contro l’Armata Rossa negli anni dell’invasione Sovietica e continuò per tutta la vita a lottare per vivere in un Paese che fosse libero laico e colto. Morì in un attentato pochi giorni prima dell’attacco alle torri gemelle. Per una breve biografia sulla vita di Massoud: http://www.instoria.it/home/massoud.htm

[x] Ibid. M. MENKISZAK, K. JARZYFZKA (2011).

[xi] A. C. KUCHINS, T. SANDERSON, “Central Asia’s Northern Exposure”, NYT, https://www.nytimes.com/2009/08/05/opinion/05iht-edkuchins.html?pagewanted=print (04/08/2009).

[xii] Il servizio di controllo sul traffico di narcotici (Федеральная служба Российской Федерации по контролю за оборотом наркотиков), giocò un ruolo attivo specialmente nelle operazioni russo-americane di contrasto ai traffici di droga internazionali, salvo poi venir dissolto nel 2016; si veda: http://government.ru/department/114/events/, https://77.мвд.рф/гу-мвд/структура-управления/управления/укон

[xiii] La struttura nel sito governativo del Ministero della Difesa: http://mil.ru/index.htm.

[xiv] F. BOBIN, “Andreï Avetisyan : ‘Les forces afghanes ne sont pas prêtes à remplacer l’OTAN’”, Le Monde, https://www.lemonde.fr/asie-pacifique/article/2012/07/03/andrei-avetisyan-les-forces-afghanes-ne-sont-pas-pretes-a-remplacer-l-otan_1728360_3216.html (03/07/2012).

[xv] Si pensi ad esempio alle rivoluzioni colorate che hanno impegnato su diversi fronti Mosca, per poi culminare con gli eventi in Crimea ad un ridimensionamento delle sue possibilità sul piano della politica internazionale.

[xvi] U.S. DEPARTEMENT OF STATE, “U.S., Russia, China and Pakistan Joint Statement on Peace in Afghanistan”, https://www.state.gov/u-s-russia-china-and-pakistan-joint-statement-on-peace-in-afghanistan/ (28/10/2019).

[xvii] U.S. DEPARTEMENT OF STATE, “Joint Statement on the Signing of the U.S.-Taliban Agreement”, https://www.state.gov/joint-statement-on-the-signing-of-the-u-s-taliban-agreement/.

[xviii] Di cui per altro l’Afghanistan è osservatore dal 2013.

 

 

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