Le direttrici di politica estera del Giappone post-Abe

Lo scorso 16 settembre è iniziato il mandato del nuovo Primo Ministro del Giappone: Yoshihide Suga[1]. Il suo predecessore Shinzō Abe – già premier nel biennio 2006-2007 e poi ininterrottamente dal 2012 – aveva annunciato le sue dimissioni in agosto per il riacutizzarsi di un cronico problema di salute[2], lasciando anche la presidenza del Partito Liberal Democratico (Jimintō, 自民党), assunta dallo stesso Suga il 14 settembre[3].

Il nuovo Primo Ministro non è certo una figura nuova nel panorama politico giapponese; al contrario, egli si è trovato sin dall’inizio tra i favoriti all’avvicendamento all’esecutivo, essendo considerato il seguace naturale delle riforme del predecessore. Membro dal 1996 della Camera dei Rappresentanti (Shūgiin, 衆議院) della Dieta Nazionale, Ministro degli Affari Interni e delle Comunicazioni durante il primo mandato di Abe tra il 2006 e 2007 e Capo-Segretario di Gabinetto dal 2012, Suga ha guadagnato una discreta notorietà anche all’estero quando, il 1° aprile 2019, ha personalmente annunciato il nome della nuova era imperiale, in vista dell’ascesa al trono del crisantemo del Principe Naruhito: il Periodo Reiwa (Reiwa-jidai, 令和時代), letteralmente “periodo di bella armonia”[4]. Anche per questo motivo, il cambio al vertice dell’esecutivo non sembra rappresentare una rottura con il recente passato, ma semmai una sua diretta prosecuzione. Ciò, unito alle costanti geopolitiche e interessi nazionali dell’arcipelago nipponico, contribuisce a spiegare come la politica estera di Tokyo seguirà lo stesso percorso tracciato negli ultimi otto anni dai governi di Shinzō Abe.

Le questioni di politica estera irrisolte che il nuovo governo nipponico deve affrontare sono molteplici e si sommano ai numerosi problemi di politica interna ereditati dalla precedente amministrazione, sui quali grava ora la gestione e contenimento della pandemia di COVID-19. Su tutti, il preoccupante calo demografico – la diminuzione del tasso di natalità nel paese non è neanche compensata dal tasso di immigrazione, essendo quest’ultima quasi assente[5] – un enorme debito pubblico pari quasi al 240% del PIL a fine 2019[6] e un’economia che non riesce a reggere la competizione con Pechino – nonostante la strategia economica, finanziaria e fiscale denominata Abenomics abbia cercato di rilanciare l’economia del paese dopo il cosiddetto “ventennio perduto”[7]. Senza tralasciare i vani tentativi di riacquistare la propria sovranità in materia di difesa e quindi affrancarsi dall’ombrello militare statunitense: resta infatti incompiuta la riforma dell’articolo 9 della Costituzione giapponese, secondo il quale il popolo giapponese rinuncia alla guerra come diritto sovrano della nazione, impegnandosi a non costituire e mantenere forze terrestri, marittime, aeree o di qualunque altra natura potenzialmente militare[8]. Al netto della politica interna, la vera sfida per il nuovo esecutivo è però portare a termine quanto promesso e perseguito in politica estera dall’ex Primo Ministro nel corso degli anni Dieci.

A livello internazionale, assieme alla minaccia alla stabilità della regione rappresentata dal regime di Pyongyang, prioritaria rimane la gestione dei rapporti con la Cina popolare. Sin dalla Prima Guerra Sino-Giapponese (Nisshin Sensou, 日清戦争), combattuta tra il 1894 e 1895 tra l’Impero Qing e l’Impero giapponese del Periodo Meiji per il controllo della penisola coreana, Tokyo era riuscita ad affermarsi quale potenza egemone in Estremo Oriente proprio ai danni di Pechino. Tuttavia, con la progressiva ascesa del fu Celeste Impero al ruolo di potenza globale sul finire del XX secolo, il Giappone ha perso la sua centralità nello scacchiere asiatico, ritrovandosi a dover fare i conti con un vicino continentale estremamente ingombrante in termini economici, politici e demografici. Con la Cina rimangono tra l’altro aperte alcune dispute territoriali, in primis per quanto riguarda il possesso delle Isole Senkaku, sulle quali Pechino rivendica la sovranità in base a criteri storici e geografici. Nell’ultimo decennio, l’esecutivo di Shinzō Abe ha cercato di evitare che il continente asiatico venisse identificato unicamente con la Cina, sostenendo la partecipazione del Giappone a diverse iniziative volte contrastare la Belt and Road Initiative (BRI) in Eurasia e in generale a contenere l’espansionismo cinese nell’Indo-Pacifico.

▪ Innanzitutto, Tokyo ha aderito alla Rebalance to Asia Policy, conosciuta anche come dottrina del Pivot to Asia: si tratta della strategia per l’Asia-Pacifico annunciata nel novembre 2011 dal Presidente americano Barack Obama, che ha tra l’altro modificato la decennale politica di equilibrio delle forze militari americane dispiegate tra Oceano Pacifico e Oceano Atlantico a favore del primo,  al fine di salvaguardare lo status quo e quindi arginare l’espansionismo cinese[9]. Le premesse e gli obiettivi della dottrina di Obama per l’Estremo Oriente sono stati sostanzialmente ripresi dall’amministrazione Trump nella Free and Open Indo-Pacific Strategy (FOIP), che ha addirittura esteso il concetto di sicurezza pensato dagli americani per l’Asia-Pacifico anche all’Oceano Indiano, riconoscendo quindi la necessità di creare un unico sistema strategico per entrambe le regioni dinanzi ai tentativi di penetrazione cinese[10]. Per Tokyo, la strategia del FOIP rappresenta un modo per resistere al tentativo di Pechino di costruire un ordine sinocentrico, intercettando e dirottando il regionalismo asiatico lontano dall’arcipelago giapponese.

▪ All’interno di questo nuovo framework per l’Asia-Pacifico e l’Oceano Indiano, gli USA hanno spinto molto per il rinnovo, arrivato nel novembre 2017, del Quadrilateral Security Dialogue: si tratta di un’alleanza informale tra Stati Uniti, Giappone, India e Australia volta a favorire il mantenimento dello status quo nella regione di fronte all’ascesa economico-militare della Cina e alle sue possibili velleità revisionistiche. Nello specifico, i paesi membri si propongono di salvaguardare l’attuale ordine regionale, fornire maggiori garanzie di mutua sicurezza e promuovere un regime di libero scambio e la libertà di navigazione. È stata anche paventata la possibilità che i membri del Quad possano discutere in futuro della creazione di un sistema di infrastrutture regionali congiunte come risposta alla Belt and Road Initiative, al fine di contrastare la diffusione dell’influenza cinese in Asia Meridionale, Sud-Est Asiatico e Oceano Pacifico[11].

▪ Prima del suo abbandono da parte dell’amministrazione Trump nel gennaio 2017, uno dei più importanti strumenti per il contenimento della Cina era rappresentato dalla Trans-Pacific Partnership (TTP), che aveva lo scopo di instaurare una cooperazione economica rafforzata tra gli Stati Uniti e molti paesi emergenti dell’Asia-Pacifico, al fine strategico di ridurre la dipendenza dei paesi firmatari della regione dal commercio cinese e avvicinarli invece alla potenza americana[12]. Dopo il ritiro del paese promotore, il Giappone ha preso le redini del progetto, che è risorto con modifiche nel marzo 2018 con la firma del Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership (CPTPP), conosciuto anche come TPP-11. Tale mossa deve essere inquadrata anche nella più ampia strategia di Tokyo di rafforzare i suoi legami politico-economici con i paesi membri dell’Association of Southeast Asian Nations (ASEAN). Una regione, quella del Sud-Est Asiatico, in cui da tempo Pechino è impegnata nello sviluppo delle rotte marittime della nuova Via della Seta: in particolare, la Cina popolare sta cercando di collaborare con paesi quali Thailandia, Myanmar, Laos e Indonesia per allestire percorsi terrestri e marittimi alternativi al collo di bottiglia rappresentato dallo Stretto di Malacca, così da garantirsi un più facile e libero accesso all’Oceano Indiano[13].


Carta di Laura Canali: Limes Online.

Il governo del nuovo Primo Ministro Yoshihide Suga non stravolgerà quindi le principali direttrici strategiche del Giappone, proseguendo invece sul sentiero intrapreso dal predecessore: contrastare l’ascesa dello storico rivale cinese, espandere le proprie attività militari ed economiche nella regione dell’Indo-Pacifico e preservare il rapporto con gli Stati Uniti. Nonostante per Tokyo risulti sempre più pesante proteggersi con l’ombrello militare offerto da Washington – e un alleato tanto prezioso quanto spesso opprimente nella libertà d’azione del paese nipponico – l’alleanza con gli Stati Uniti rimane infatti la pietra miliare della politica estera e di sicurezza giapponese. Un legame, quello con gli Stati Uniti, di cui il Giappone non può quindi fare a meno nell’attuale scenario asiatico e globale.


A cura di Luca Galantini


[1] “Giappone: Yoshihide Suga nominato nuovo premier”, ANSA Online, 16/09/2020. Disponibile su: https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2020/09/16/giappone-yoshihide-suga-nominato-nuovo-premier_0a52ca8b-c028-4ef4-b281-b9450ba3df13.html (23/10/2020).

[2] A. Berkofky, “Japan: The End of the Road for Shinzo Abe”, ISPI Online, 31/08/2020. Disponibile su: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/japan-end-road-shinzo-abe-27223 (23/10/2020).

[3] “Giappone: Yoshihide Suga verso successione premier Abe”, ANSA Online, 14 settembre 2020. Disponibile su: https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/asia/2020/09/14/giappone-yoshihide-suga-verso-successione-premier-abe_716b65f8-37e0-4a91-a3ef-88a1d1f1110d.html (23/10/2020).

[4] G. Santevecchi, “Il Giappone entra nell’Era Reiwa. Significa «Ordine, armonia e pace»”, Corriere della Sera Online, 01/04/2019. Disponibile su: https://www.corriere.it/esteri/19_aprile_01/giappone-entra-nell-era-reiwa-significa-ordine-armonia-pace-354d7fd8-5431-11e9-a9e2-a0d1446d1611.shtml (23/10/2020).

[5] IMF Asia and Pacific Department, Japan: 2019 Article IV Consultation. Press Release, Staff Report, and Statement by the Executive Director for Japan, IMF Country Report No. 20/39, Washington D.C., U.S.A., 10/02/2020, pp. 10-33. Disponibile su: https://www.imf.org/en/Publications/CR/Issues/2020/02/07/Japan-2019-Article-IV-Consultation-Press-Release-Staff-Report-and-Statement-by-the-Executive-49032.

[6] G. Di Donfrancesco, “Fmi: la pandemia fa impennare debito e deficit”, Il Sole 24 Ore Online, 15/04/2020. Disponibile su: https://www.ilsole24ore.com/art/fmi-pandemia-fa-impennare-debito-e-deficit-ADSTZ9J (23/10/2020).

[7] G. Davies, “Japan’s Suga inherits an economy stabilised by Abenomics”, Financial Times Online, 18/10/2020. Disponibile su: https://www.ft.com/content/8693301c-a8b2-41b0-b869-7f72e7f97b43 (23/10/2020).

[8] A. Berkofky, G. Sciorati, “Elections in Japan: Abe Wins, but Constitutional Revision Becomes a No Go”, ISPI Online, 23/07/2019. Disponibile su: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/elections-japan-abe-wins-constitutional-revision-becomes-no-go-23563 (23/10/2020).

[9] La Rebalance to Asia Policy è stata per la prima volta enunciata dall’ex Segretario di Stato americano Hillary Clinton nel novembre 2011: essa si sostanzia in uno spostamento strategico del focus degli Stati Uniti verso l’Asia-Pacifico, al fine di stabilire una cooperazione rafforzata con le potenze emergenti della regione attraverso accordi commerciali, investimenti e altri strumenti bilaterali o multilaterali in funzione anticinese. R. Emmers, The US Rebalance to Asia and the South China Sea Disputes, in L. Buszynski, C.B. Roberts (eds.), The South China Sea Maritime Dispute: Political, Legal and Regional Perspectives, Routledge, Londra, UK, 2014, pp. 150-162. Cfr. P.C. Saunders, China’s Rising Power and the US Rebalance to Asia: Implications for US-China Relations, in K.M. Kemburi, M. Li (eds.), China’s Power and Asian Security, Routledge, Londra, UK, 2014, pp. 85-97. Cfr. H. Clinton, “America’s Pacific Century”, Foreign Policy, 11/11/2011, https://foreignpolicy.com/2011/10/11/americas-pacific-century/ (25/10/2020). Cfr. M. Del Pero, US: Which Grand Strategy for Asia and China?, ISPI Analysis, No. 187, 2013, pp. 2-5. Disponibile su: https://www.ispionline.it/sites/default/files/pubblicazioni/analysis_187_2013.pdf.

[10] L. Hongmei, Z. Jiengen, Australia’s Cognition of the “Indo-Pacific Strategy”: Reasons and Counter Measures, in C. Zhu (ed.), Annual Report on the Development of the Indian Ocean Region (2018). Indo-Pacific: Concept Definition and Strategic Implementation, Springer, Singapore, Repubblica di Singapore, 2019, pp. 99-110.

[11] D. Chen, “The Indo-Pacific Strategy: A Background Analysis”, ISPI Online, 04/06/2018. Disponibile su: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/indo-pacific-strategy-background-analysis-20714 (25/10/2020). Cfr. B. Glosserman, “The Indo-Pacific: A U.S. Perspective”, ISPI Online, 04/06/2018. Disponibile su: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/indo-pacific-us-perspective-20692 (25/10/2020).

[12] M.P. Goodman, M.J. Green, After TPP: The Geopolitics of Asia and the Pacific, in “The Washington Quartely”, Vol. 38, No. 4, 2015 pp. 19-34.

[13] G. Cuscito, “Nel solco di Abe, il Giappone di Suga non piacerà alla Cina”, Limes Online, 24/09/2020. Disponibile su: https://www.limesonline.com/rubrica/suga-giappone-cina-usa-taiwan-indo-pacifico (25/10/2020).

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