La Grande Muraglia di Sabbia: isole artificiali in acque contese e strategie ibride nel Mar Cinese Meridionale

A partire dal 2012, la progressiva costruzione e militarizzazione di isole artificiali da parte della Cina all’interno del conteso arcipelago Spratly ha portato diversi attori regionali e internazionali ad interrogarsi sulle capacità di Pechino di sfruttare con successo la zona grigia all’interno del Mar Cinese Meridionale [i]. La rimarcata rivendicazione territoriale di Pechino è basata sulla cosiddetta Nine Dash Line, linea di demarcazione a forma di U che, partendo dall’isola di Hainan, scendendo all’isola di Natuna ed infine risalendo fino all’isola di Taiwan, ingloba all’interno delle acque territoriali cinesi le isole Spratly, Paracel e Scarborough Shoal, ovvero circa l’80% del Mar Cinese Meridionale.

La designazione del Mar Cinese Meridionale come interesse primario di Pechino – operata dal Politburo nel 2013 – è motivata dal fatto che quest’area costituisce la porta d’accesso all’Oceano Pacifico, una rotta di approvvigionamento strategico abbondante di riserve di idrocarburi e una naturale barriera semichiusa che garantisce sicurezza aerea e marittima. Hu Jintao, ex Presidente della Repubblica Popolare Cinese, fu tra i primi leader ad evidenziare chiaramente l’importanza del nesso tra potere navale e sicurezza nazionale. Sotto la guida di Xi Jinping, l’ascesa della Cina a potenza marittima ha portato alla concretizzazione della sua strategia ibrida[ii]. Essa si sostanzia nelle c.d grey zone strategies, ovvero attività multidimensionali collegate ad ambizioni revisioniste. Più nel dettaglio, la strategia ibrida si distingue per l’uso multiplo e simultaneo di diversi sistemi operativi, che vanno dallo spettro convenzionale a quello non convenzionale. Le parole chiave che la definiscono a livello strategico sono simultaneità e interoperabilità.  Essa si svolge all’interno di aree grigie, zone ambigue in cui gli avversari impiegano una serie integrata di strumenti per ottenere obiettivi strategici specifici senza oltrepassare la soglia del conflitto, tramite operazioni non totalmente pacifiche, ma neppure abbastanza belligeranti da provocare un’escalation militare[iii]

Le rivendicazioni territoriali nel Mar Cinese Meridionale sono divisibili in tre gruppi:

 i) Isole Spratly, totalmente rivendicate dalla Repubblica Popolare Cinese, Taiwan e Vietnam, parzialmente rivendicate da Filippine, Malesia e Brunei, militarmente occupate in parte da tutti i suddetti paesi, ad esclusione del Brunei;

ii) Isole Paracel, totalmente rivendicate dalla Cina, Taiwan e Vietnam, militarmente occupate dalla Cina;

iii) Isole Pratas, rivendicate dalla Cina e Taiwan ed occupate da Taiwan.

A questi gruppi si affiancano alcuni bassifondi e banchi minori:

i) Scarborough Shoal, rivendicato dalla Cina, Taiwan e Filippine, militarmente occupato dalla Cina;

ii) James Shoal, rivendicato dalla Cina, Taiwan e Malesia, occupato da Malesia;

iii) Macclesfield bank: rivendicato dalla Cina e Taiwan, occupato dalla Cina.[iv]

La disputa territoriale per le Isole Spratly è la più complessa tra tutte le dispute nel Mar della Cina Meridionale. In quanto tale, essa non può non coinvolgere gli Stati Uniti, data la loro funzione di fideiussori del principio della libertà dei mari, la loro potenza navale – settore in cui Washington ha tutt’oggi una predominanza indiscussa – e la necessità strategica di mantenere lo status quo dell’area Asia-Pacifico. Dal punto di vista di una Cina in ascesa, invece, la diretta connessione del Mar Cinese Meridionale con altri elementi di rivalità e competizione con Washington rende quest’area particolarmente idonea per sfidare, attraverso operazioni sempre più assertive, gli Stati Uniti[v].

Consapevole di ciò, Pechino ha avviato l’occupazione di isolotti, atolli e scogliere del Mar Cinese Meridionale a partire dagli scontri per il controllo delle Paracel (1974) e di Johnson South Reef (1988), fino ad arrivare all’occupazione del bassofondo Scarborough rivendicato dalle Filippine (2012)[vi]. Nel 2013, l’aggressività di Pechino ha spinto Manila a chiedere il giudizio sulla natura delle rivendicazioni concorrenti cinesi al Tribunale internazionale per il diritto del mare (ITLOS) con sede all’Aia[vii].A seguito dell’avvio del procedimento arbitrale, la Repubblica Popolare Cinese ha compiuto passi importanti per cambiare il panorama fisico del Mar Cinese Meridionale, impegnandosi in importanti attività di bonifica e di costruzione di terreni che hanno convertito, tramite il dragaggio di sabbia, sette barriere coralline (Mischief Reef, Cuarteron Reef, Fiery Cross Reef, Gaven Reef, Johnson Reef, Hughes Reef e Subi Reef) in grandi isole artificiali.[viii]

La Grande Muraglia di Sabbia, espressione che richiama alla costruzione monumentale cinese, è un riferimento volto ad evidenziare la vastità della portata dei progetti cinesi. Attualmente, esistono tre tipi di isole artificiali e/o installazioni all’interno e nelle aree adiacenti all’arcipelago delle isole Spratly:

i) impianti artificiali temporanei galleggianti;

ii) impianti e strutture artificiali aggiunti alle isole naturali;

iii) isole artificiali costruite su rocce naturali e barriere coralline con natura permanente[ix].

Nel primo resoconto pubblico relativo alle attività di costruzione di isole artificiali del marzo 2015, il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi, ha dichiarato che la Cina stava attuando un’attività costruttiva per la pace e la stabilità regionale[x]. Tuttavia, le immagini satellitari rilasciate dall’Asian Maritime Transparency Initiative presso il Washington’s Center for Strategic and International Studies (CSIS) mostrano che le isole artificiali nel Mar Cinese Meridionale hanno assunto l’aspetto di basi militari. Indipendentemente dal loro scopo dichiarato, se la costruzione delle isole è motivata dal desiderio di rafforzare le rivendicazioni di sovranità cinesi, la loro militarizzazione è lo strumento strategico atto a proiettare la potenza militare cinese nella regione. Militarmente, ciascuna delle tre isole più grandi, Mischief, Subi e Fiery Cross Reefs, ha dimensioni sufficienti per ospitare armi di anti-accesso e negazione di area (A2/AD)[xi]. Economicamente, l’agenda della Via della Seta Marittima, il Dilemma di Malacca e il recente Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP) sono tutte questioni complementari alla costruzione di basi permanenti nel Mar Cinese Meridionale[xii].

L’occupazione, costruzione e militarizzazione di isole artificiali nel Mar Cinese Meridionale è stata definita come una strategia ibrida volta a perseguire un cambiamento nello status quo regionale, espandere la capacità cinese di operare nel Mar Cinese Meridionale, erodendo il predominio americano nell’area Asia-Pacifico ed ottenendo piccole porzioni territoriali in modo progressivo[xiii].

In termini di strategia, le operazioni della Repubblica Popolare Cinese sono state descritte come salami slicing. Il susseguirsi di operazioni ripetitive e di apparente scarsa influenza, se prese singolarmente – la progressiva bonifica e militarizzazione di isole – porta complessivamente ad un risultato finale stravolgente: l’ascesa di Pechino nel Mar Cinese Meridionale e nel Pacifico e la graduale sottomissione delle altre potenze regionali. Questa coercizione incrementale a bassa intensità è volta ad aumentare il controllo effettivo su aree contese ed evitare al contempo un conflitto militare. A livello tattico, Pechino sta impiegando la cosiddetta cabbage tactics, che si riferisce al dispiegamento di forze marittime (convenzionali e non) per circondare fisicamente le isole contese, così da bloccare tutti i tipi di accesso e di uscita nel Mar Cinese Meridionale. Questa tattica paragona i vari strati dell’ortaggio ai diversi livelli di espansione graduale messi in atto dalla Cina: iniziale occupazione sulla base di rivendicazioni storiche incompatibili col diritto internazionale, successiva bonifica e costruzione di isole artificiali a fini dichiarati come pacifici, ed infine, progressiva militarizzazione su larga scala.

Nel 1823, la Dottrina Monroe identificava l’emisfero occidentale come il cortile dell’America: oggi la Cina sta agendo in modo simile nel Mar Cinese Meridionale. L’ambizione di Pechino, solamente all’inizio della sua ascesa come potenza navale, è quella di dominare questo spazio e, in ultima istanza, di negare l’accesso alla potenza rivale garante dello status quo. Il successo dell’intento cinese di dominare lo spazio territoriale e marittimo tramite l’utilizzo di strategie ibride, come la Grande Muraglia di Sabbia, rappresenterebbe un cambiamento sismico negli equilibri di potere nel Pacifico occidentale [xiv]

A cura di Martina Lucaccini


Photo source: Watkins, D. “What China Has Been Building in the South China Sea”, The New York Times, October 27, 2015.

[i] Chiyuki, A. Futamura, M. Patalano, A. «Introduction ‘hybrid warfare in Asia: its meaning and shape.» The Pacific Review, 31, no. 6 (2018), p. 701.

[ii] Stewart, R. K. «Strategic Puzzle in the South China Sea: Perception, Power, and Money. Chinese Plans for Hegemony?» University of Puget Sound, 2018, p. 19.

[iii] Miracola, S. «Commentary Chinese Hybrid Warfare.» Italian Institute for International Political Studies. Dicembre 21, 2018. https://www.ispionline.it/en/pubblicazione/chinese-hybrid-warfare-21853.

[iv] Koh, T. «South China Sea an Overview», NUS Press, 2020, p. 156.

[v] Quintos, A. «Artificial Islands in the South China Sea and Their Impact on Regional (in)Security.» FSI Insights, 2015, p. 5.

[vi] Socal, A. «Acque pericolose: la Cina e le rivendicazioni territoriali nel Mar Cinese Meridionale.» Centro Militare di Studi Strategici, 2016, p. 24.

[vii] Rowan, J. P. «The U.S.-Japan Security Alliance, ASEAN, and the South China Sea Dispute. » Asian Survey, 45, n. 3 (2005), p. 420.

[viii] Wingfield-Hayes, Rupert (9 September 2014). «China’s Island Factory». BBC. Archived from the original on 20 September 2014. https://www.bbc.co.uk/news/resources/idt-1446c419-fc55-4a07-9527-a6199f5dc0e2.

[ix] Keyuan Z. «The Impact of Artificial Islands on Territorial Disputes over the Spratly Islands» (East Sea/ South China Sea Studies, 21 July 2011) <http://nghiencuubiendong.vn/en/conferences-and-seminars-/second-international-workshop597-the-impact-of-artificial-islands-on-territorial-disputes-over-the-sparatly-islands-by-zou-keyuan&gt;.

[x] Quintos, A. «Artificial Islands in the South China Sea and Their Impact on Regional (in)Security.» FSI Insights, 2015, p. 1.

[xi] Longo, L. «Le isole artificiali cinesi possono diventare un grosso problema per il mondo.» Linkiesta.it, settembre 30, 2016. http://www.linkiesta.it/it/article/2016/09/30/le-isole-artificiali-cinesi-possono-diventare-un-grossoproblema-per-i/31941/.

[xii] Paul, M. «A great wall of sand” in the South China Sea? Political, legal and military aspects of the island dispute.» SWP Research Paper, 2016, p. 15.

[xiii] Patalano, A. «When strategy is ‘hybrid’ and not ‘grey’: reviewing Chinese military and constabulary coercion at sea.» The Pacific Review, 31, n. 6 (2018), p. 813.

[xiv] Tkacik, M. «Understanding China’s goals and strategy in the South China Sea: bringing context to a revisionist systemic challenge – intentions and impact. » Defense & Security Analysis 34, n. 4 (2018), p. 356.

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