GIULIA BARBIERO | Vittorioso alle elezioni dello scorso novembre, il nuovo Presidente degli Stati Unite Joe Biden ha dovuto da subito fare i conti con le varie criticità che caratterizzano i rapporti Usa-Cina ereditati dalla presidenza Trump. Questione dilagante era come il neo eletto Presidente avrebbe affrontato i tesi rapporti con il gigante asiatico in termini di influenza diplomatica, innovazione ed economia; se avrebbe proceduto in continuità o in rottura con la linea intrapresa dalla precedente amministrazione e quale sarebbe stato il ruolo dell’Europa in questo nuovo contesto.
Uno dei principali problemi che il nuovo Presidente dovrà affrontare è proprio la definizione di una strategia globale americana nei confronti di Pechino. Allo slogan di Trump America first, si sostituisce il nuovo America is back, che presuppone un ritorno sulla scena internazionale, promozione di un nuovo multilateralismo ed un approccio diplomatico alle questioni più spinose tra cui, appunto, quella cinese. L’ottimismo che ha permeato l’era della globalizzazione fino alla presidenza Obama, quel pensiero secondo cui la crescita economica avrebbe prima o poi portato ad una reale democratizzazione e liberalizzazione del regime cinese, si è ormai arenata da tempo. É in questa disillusione che si è inserita la politica trumpiana che, ricalcando i momenti più salienti della Guerra Fredda, ha tentato di contenere e piegare la Cina attraverso sanzioni commerciali ed embarghi tecnologici. L’unilateralismo americano, tuttavia, non ha portato ai risultati sperati: non solo non è riuscito nella sua azione di contenimento della Cina, forte di un importantissimo know how e della leadership nel settore 5G[i], ma non ha nemmeno prodotto risultati significativi nell’appianamento del deficit commerciale tra i due paesi[ii]. Inoltre Trump non ha neanche cercato il supporto degli alleati europei nel contrastare la Cina: definendo l’Europa come un “nemico commerciale” degli USA[iii], imponendo dazi e disimpegnandosi sempre più dalla NATO e dagli accordi sul clima di Parigi. La strategia dell’ “America first” non ha prodotto altro che un progressivo avvicinamento dei paesi UE a Pechino attraverso importanti accordi, il cui grande protagonista è il “Comprehensive Agreement on Investment”[iv] concluso alla fine del 2020.
Le prime mosse dell’Amministrazione Biden sono dunque state motivate dalla necessità di ricostruire una coesione occidentale anche per contrastare le ambizioni di egemonia cinesi. Non si rinnegano gli anni di allontanamento da Washington, infatti Germania e Francia mirano a mantenere un’indipendenza europea dall’alleato oltreoceano[v], ma l’importante vertice del G7, da poco conclusosi, ha già prodotto risultati importanti. Le conclusioni dell’incontro tra le 7 economie più importanti del mondo sono contenute nella comunicazione ufficiale “Our Shared Agenda for Global Action to Build Back Better”[vi] e include argomenti essenziali tra cui spiccano il tema della violazione dei diritti umani da parte cinese sulla popolazione Uiguri e la richiesta di indagare ulteriormente e fare chiarezza sull’origine del Covid, questione recentemente tornata in auge.
Tuttavia, ciò che appare di particolare rilievo è il piano promosso da Biden in persona, denominato Buid Back Better World (B3W)[vii], che persegue lo specifico intento di contrastare o sostituirsi alla Belt and Road Initiative cinese, attraverso un progetto di mobilitazione di centinaia di miliardi di dollari di investimenti indirizzati alla costruzione di infrastrutture nei paesi più poveri. Il progetto, in un ribaltamento di valori rispetto alla Nuova Via della Seta cinese, è incentrato su contrasto ai cambiamenti climatici, salute, tecnologia e uguaglianza di genere, con l’intento di creare delle relazioni strategiche e durature con le nazioni beneficiarie[viii], offrendo inoltre loro la possibilità di evitare la cosiddetta “trappola del debito” con la Cina[ix].
La necessità di contrastare la potenza cinese per Biden dunque corre nella direzione di ripristinare le alleanze regionali. Con questo intento il Presidente americano ha fatto il suo debutto al vertice NATO del 14 giugno sottolineando come il patto di mutua difesa costituisca un impegno sacro per gli Stati Uniti, ponendosi così in radicale contrasto con il suo predecessore. Tale cambiamento di rotta è stato commentato dalla Cancelliera Merkel come “l’inizio di un nuovo capitolo” sottolineando l’importanza di considerare Pechino come potenziale minaccia ma mantenendo una visione prospettica: “non si può semplicemente ignorare la Cina, è necessario trovare il giusto bilanciamento” ha aggiunto[x]. Ciò che si teme è che la rinnovata alleanza occidentale porti ad un rafforzamento dell’alleanza russo-cinese, dal momento che da parte americana sono state scagliate accuse molto pesanti anche verso Mosca riguardanti soprattutto il Nord Stream 2[xi] e contro le repressioni delle manifestazioni a favore dell’oppositore politico Alexiei Navalny[xii], ribaltando anche in questo caso quella che era stata da parte di Trump una linea più compiacente verso Vladimir Putin.
Pur avendo creato delle rotture rispetto alla linea politica precedente, la linea di Biden presenta importanti tratti di continuità soprattutto nei concreti atteggiamenti verso la Cina. Dopo aver ereditato da Trump la gran parte dei dazi commerciali verso Pechino, il nuovo Presidente ha a sua volta accusato la controparte di furto di proprietà intellettuale e attacchi informatici, imponendo nuovi dazi all’avversario cinese che non sembra voler retrocedere da quella che è a tutti gli effetti una vera e propria guerra commerciale. La competizione cela una sfida ancora più importante, anch’essa in corso da anni e ormai ben nota: il dominio sulle nuove tecnologie e il controllo dei dati che decideranno chi vincerà la competizione per la supremazia economica del futuro. Così il nuovo inquilino della Casa Bianca ha firmato un ordine esecutivo che impedisce agli americani di investire in dozzine di aziende cinesi ree di avere legami con i settori della tecnologia di difesa o sorveglianza. Il compito di far rispettare e aggiornare la lista delle aziende “pericolose” che al momento ne conta già 59, tra cui importanti nomi come Huawei e delle altre grandi compagnie telefoniche cinesi, è affidato direttamente al ministero del Tesoro americano[xiii].
Durante il vertice di Anchorage in Alaska la Cina ha risposto alle accuse americane, e dopo aver accusato Washington di incitare gli altri paesi all’odio e all’aggressione verso Pechino perseguendo pratiche da Guerra Fredda, il responsabile della diplomazia cinese, Yang Jiechi, ha affermato che la Cina non fermerà il proprio rafforzamento, definendolo “irrefrenabile”[xiv] e difendendo pertanto la propria sovranità nazionale e interessi di sviluppo. A tal proposito il Wall Street Journal ha svelato le nuove restrizioni cinesi nell’uso di veicoli elettrici Tesla a dipendenti di aziende controllate dal governo e tra i militari, poiché considerate una minaccia alla sicurezza nazionale in quanto vicoli hi-tech in grado di raccogliere dati sensibili. Ulteriori segnali di inasprimento sono dati non solo da un avvicinamento tra la Russia e la Cina, ma anche dai rapporti sempre più stretti tra quest’ultima con Iran e Venezuela dalle quali sono nettamente aumentati gli acquisti di petrolio.
Dunque, nei primi cento giorni della presidenza Biden, nonostante un nuovo dichiarato multilateralismo e ritorno alle pratiche diplomatiche nell’arena internazionale, non si può dire che l’atteggiamento americano nei confronti dell’antagonista cinese abbiano creato una reale rottura dall’azione dell’amministrazione trumpiana. Restano intatte le barriere economiche, le liste di “proscrizione” con i nomi delle aziende cinesi ritenute più pericolose e un’accesa competizione per dominare lo scenario economico globale del prossimo futuro. Con Biden però ritorna in auge il tema del rispetto dei diritti umani, con il Presidente stesso che a pochi giorni dalla sua elezione definisce il trattamento cinese verso gli Uiguri come genocidio[xv], o che, ancora, si dimostra vicino alla situazione di Hong Kong e infonde uno spirito di sicurezza agli alleati asiatici, in primis il Taiwan[xvi] che inizialmente temeva un cambio di rotta americano verso atteggiamenti più morbidi.
Si può dire, in conclusione, che i rapporti Biden-Cina non siano iniziati nel migliore dei modi, ciononostante ci sono vari elementi che, se considerati, lasciano intravedere la possibilità di nuove finestre di dialogo, assolutamente necessario.
In primo luogo, nonostante il vertice in Alaska non sia stato un incontro del tutto amichevole, apparentemente Biden ha dichiarato di voler rincontrare il Presidente Xi Jin Ping in autunno[xvii]. Questo, se non altro, rappresenta comunque un segnale di maggior apertura diplomatica rispetto al suo predecessore.
In secondo luogo non ci si poteva aspettare che una relazione da anni in caduta libera verso un declino apparentemente irrimediabile venisse sanata in così poco tempo, per cui è necessario attendere gli sviluppi del prossimo periodo.
In terzo luogo, una delle ragioni più importanti per cui vi è forte convinzione che le due più grandi economie del mondo debbano instaurare un dialogo e una cooperazione duratura sono i cambiamenti climatici. Nonostante il clima politico in USA trovi sostegno bipartisan verso un contrasto sempre maggiore nei confronti della Cina, vi è anche una crescente opposizione interna portata avanti dall’ala progressista dei Democratici.
Oltre 40 progressisti hanno infatti recapitato una lettera al Presidente Biden appellandosi all’urgenza per cui la cooperazione con la Cina sul tema dei cambiamenti climatici debba avere la precedenza sulla competizione tra i due paesi[xviii]. La richiesta è semplice: rifuggire l’attuale strategia dominante di antagonismo tra Stati Uniti e Cina e dare priorità a multilateralismo, diplomazia e cooperazione per combattere la crisi climatica. L’argomento è legittimo ma di difficile applicazione, per cui rimane da valutare se la nuova guida alla Casa Bianca sarà in grado di perseguire un approccio strategico che, seppur tenendo conto della competitività economica e i vari dilemmi di sicurezza legati alla Cina, sarà anche in grado di trovare con essa un adeguato coordinamento. In effetti sembrerebbe improbabile riuscire a trovare delle soluzioni ai temi più caldi della politica internazionale contemporanea, lasciando fuori dalla discussione la seconda economia del mondo.
[i] “Cina è leader globale nel 5G, nonostante il coronavirus”, ANSA-XINHUA, 18 marzo 2020, www.ansa.it
[ii] Alberto Belladonna, Alessandro Gili, “Fact Checking: i dazi di Trump”, ISPI, 2 luglio 2019, www.ispionline.it
[iii] “Gli USA e il mondo: come cambia il rapporto con l’Europa”, ISPI, 22 settembre 2020, Focus n.2, www.ipsionline.it
[iv] “UE-Cina, il super accordo sugli investimenti”, ISPI, 30 dicembre 2020, Europa e Cina, www.ispionline.it Cfr. Filippo Sbal, “Focus Cina (#1): il Comprehensive Agreement on Investment (CAI) e le sue criticità nelle relazioni tra UE e Pechino”, https://limesclubfirenze.com/2021/03/06/focus-cina-il-comprehensive-agreement-on-investment-cai-e-le-sue-criticita-nelle-relazioni-tra-ue-e-pechino/
[v] “Macron says European defense autonomy and NATO membership are compatible”, Reuters, 18 giugno 2021, www.reuters.com
[vi] “2021 G7 Leaders’ communiqué: Our shared agenda for global action to build back better”, European Council press release, 13 giugno 2021, www.consilium.europa.eu
[vii] “FACT SHEET: President Biden and G7 Leaders Launch Build Back Better World (B3W) Partnership”, White House Statements and Release, Briefing Room, 12 giugno 2021, http://www.whitehouse.gov
[viii] “Di cosa si parla al G7, Soprattutto di un grande piano per contrastare la Cina, della lotta alla pandemia e, a margine, delle conseguenze di Brexit”, il Post, 13 giugno 2021, www.ilpost.it
[ix] Gray Sergeant, “Biden’s Multilateral Approach to China Is Paying Off”, The Diplomat, 15 giugno 2021, www.thediplomat.com
[x] Sabine Siebold, Steve Holland, Robin Emmott, “NATO adopts tough line on China at Biden’s debut summit with alliance”, Reuters, 14 giugno 2021, www.reuters.com
[xi] ”Nord Stream 2: Biden waives US sanctions on Russian pipeline”, BBC, 20 maggio 2021, www.bbc.com
[xii] Griffin Connolly, “Biden administration tells Russia to free Navalny and protesters in stark departure from Trump era”, INDIPENDENT, 25 gennaio 2021, Washington, http://www.indipendent.co.uk
[xiii] Rita Fatiguso, “Doccia fredda per la Cina e le 59 aziende della black list di Joe Biden”, Il Sole 24 Ore, 4 giugno 2021, www.ilsole24ore.com
[xiv] Marco Valsania, “In Alaska il summit della discordia, Blinken e Yang si lasciano ai ferri corti”, Il Sole 24 Ore, 20 marzo 2021, www.ilsole24ore.com
[xv] John Hudson, “As tension with China grow, Biden administration formalize genocide declaration against Beijing”, The Washington Post, 30 marzo 2021, www.whashingtonpost.com
[xvi] Melissa Conley Tyler, “Biden wins over Taiwan”, East Asia Forum, 29 giugno 2021, www.eastasiaforum.org
[xvii] Kevin Liptak, Phil Mattingly, “Biden aims for high-stakes meeting with Xi Jinping with Putin summit in the rearview”, CNN politics, 23 giugno 2021, www.edition.cnn.com
[xviii] Alexander Ward, “Biden’s new Cold War with China will result in climate collapse, progressive warn”, POLITICO, 7 luglio 2021, www.politico.com
Fonte immagine: https://www.flickr.com/photos/cdcglobal/8436618446/in/photostream/
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