Francesco Gavazzi
La tensione mai sopita fra Russia ed Ucraina si arricchisce oggi di nuovi scenari. Dopo le plateali manovre in Crimea del 2014 che hanno visto nell’arrivo dei carri armati russi a Sebastopoli la loro epitome, lo scacchiere geopolitico di questa drôle de guerre sembra oggi essersi spostato dalle sconfinate pianure della steppa euro-asiatica ad una regione poco conosciuta e ritenuta fino a non molto tempo fa di scarso interesse strategico: il Mare d’Azov.

Il Mar d’Azov, specchio d’acqua potenzialmente destinato a diventare il pivot di una delle tensioni internazionali più importanti degli ultimi anni [1], è un bacino chiuso del Mar Nero, il cui confine meridionale è delimitato dallo Stretto di Kerch. La sua importanza geopolitica risiede nel fatto che le coste della penisola di Crimea, della Russia e dell’Ucraina si affacciano nelle sue acque: nel corso dei secoli, data la sua collocazione, ha visto lo sviluppo di importanti insediamenti che costituiscono tutt’oggi parte essenziale dell’economia dei rispettivi paesi; infatti, centri quali Mariupol’ e Rostov sul Don rappresentano fulcri geopolitici irrinunciabili[2] per entrambe le contendenti; specialmente per chi desideri riferirsi a quel mare con l’appellativo di Mare Nostrum. Lo status giuridico del mare in questione, regolato da una moltitudine di accordi e convenzioni [3], è sostanzialmente ascrivibile ai dettami contenuti nell’accordo del 2003 stipulato in seguito alla disputa per l’isola di Tuzla [4], che ha definito il mar d’Azov come “historical internal waters” [5] . Un aspetto particolarmente interessante della vicenda si sostanzia nella mancata definizione dei confini del Mar d’Azov che, nella mente degli ideatori del Trattato, si sarebbero dovuti determinare tramite accordo separato. I negoziati tra Ucraina e Russia sul tema si sono trascinati per molti anni, ma le parti non hanno mai raggiunto una soluzione comune. Di conseguenza, fin dall’inizio delle manovre russe in Crimea, la questione è rimasta incerta, proprio come lo è tutt’oggi: non esiste infatti un accordo di delimitazione delle acque territoriali del Mare d’Azov. La principale implicazione risiede nel fatto che la Russia ha creato, nell’area marittima in questione, una situazione tale per cui il Diritto Internazionale non può essere applicato. L’attuale vuoto giuridico [6] sembra pertanto consentire alla Russia la possibilità di interpretare liberamente e determinare autonomamente tali confini; infatti, adesso che buona parte della Crimea è russa de facto, il Cremlino appare deciso a reclamare per sé altrettanta parte di quel mare [7]. Da Mosca – consci del fatto che quella di mostrare i muscoli [8] sarebbe la strada più rapida ma, da un punto di vista degli equilibri internazionali, anche la più rischiosa – il corso d’azione adottato è pertanto ricaduto su una più prudente quanto efficace strategia “architettonica”, capace, in un colpo solo, di offrire una migliore sinergia fra strategie politiche, economiche e geopolitiche: la costruzione del Ponte di Kerch [9]. Il ponte è stato progettato per essere una vera e propria frontiera territoriale, in quanto la sua posizione ed altezza – solo 33 metri – fanno sì che niente possa entrare o uscire senza il permesso delle autorità russe. Il dato relativo all’altezza del ponte non è una mera curiosità architettonica ma riferisce piuttosto un preciso calcolo dei progettisti russi: l’altezza ridotta fa sì che navi mercantili di grosse dimensioni a pieno carico non riescano a passare. A ciò va inoltre aggiunto che i tempi di attesa estenuanti [10] cui sono sottoposti i mercantili diretti da e verso l’Ucraina sono tali da contribuire sensibilmente a danneggiare l’economia della regione [11]. Un’altra considerazione è necessaria: il passaggio di navi militari di medio-grosso tonnellaggio è praticamente impossibile; l’Ucraina avrebbe infatti annunciato oltre alla disponibilità dell’amministrazione U.S.A. di spalleggiare il governo di Kiev nella regione anche la costruzione di una base navale presso Yeysk. Secondo alcuni analisti l’Ucraina sarà pertanto costretta a rinunciare a navi da guerra di grosso armamento, orientandosi quindi verso quella che in gergo militare viene chiamata una mosquito fleet [12].

Le acque un tempo divise fra Russia e Ucraina, liberamente navigabili dai navigli dei due paesi, sono diventate sostanzialmente acque russe [13]. Kiev sostiene che si tratti di un tentativo, peraltro riuscito, di isolare le principali città costiere, causare ulteriori perdite finanziarie all’economia del paese e conseguentemente contribuire ad esacerbare una situazione economica tutt’altro che florida. Due le considerazioni che dovrebbero saltare immediatamente all’attenzione del lettore: la prima è la sostanziale impotenza dell’Ucraina; la seconda risiede nel fatto che, nonostante i grandi interessi in ballo, la protesta diplomatica dall’Occidente – e della stessa Ucraina – è stata fino ad ora minima e la reazione di quelli che dovrebbero essere i maggiori interessati al benestare dell’Ucraina, leggasi gli Stati Uniti, non all’altezza delle aspettative di Kiev [14].
Cosa dovrebbe fare dunque il governo di Porošenko? Una strada percorribile potrebbe essere quella di appellarsi all’ONU [15] ed invocare il rapido dispiegamento di una missione di peacekeeping volta a disinnescare la tensione e ripristinare la libertà dei movimenti marittimi nella regione. Oltre a garantire la libertà di circolazione, i compiti della missione dovrebbero comprendere, con l’assenso dei due paesi, funzioni di monitoraggio e standard setting. Rivolgersi alla massima organizzazione internazionale potrebbe risultare, infatti, una strategia prudente anche in vista di una possibile recessione dall’accordo del 2003 [16] sull’uso del Mar d’Azov: l’estinzione del contratto ed il suo consequenziale annullamento vedrebbero il superamento dell’ambigua definizione di “historical internal waters” nonché l’“internazionalizzazione” del Mare d’Azov e la sua conseguente regolamentazione sotto l’applicazione imparziale del Diritto Marittimo Internazionale. Questa mossa definirebbe chiaramente le acque territoriali ucraine ed impedirebbe alla Russia di accedervi senza permesso. La Russia, dal canto suo, potrebbe certamente esercitare il diritto di veto in seno al Consiglio di Sicurezza; una scelta possibile ma che molto probabilmente farebbe compiere un ulteriore passo verso il punto di rottura di una situazione già critica. Lo stesso Cremlino in realtà potrebbe avere interessi a normalizzare i rapporti nella regione [17]; in quanto un commercio bloccato e ulteriori ipotetiche sanzioni da parte della Comunità internazionale potrebbero infatti mal coniugarsi con il progetto di riassorbire i costi di finanziamento [18] del Ponte, soprattutto in un’ottica di lungo periodo. Per l’Ucraina, sul fronte opposto, è di fondamentale importanza impedire che le relazioni con la Russia degenerino in un braccio di ferro probabilmente poco fruttifero dal momento in cui, in una tale situazione, la ragione tende realisticamente a stare dalla parte del più forte. È pertanto di vitale importanza che l’Ucraina riesca a trasferire la questione all’interno del diritto internazionale, assumendo una posizione chiara e precisa su tutte quelle piattaforme in grado di fornire la più vasta eco possibile. Quanto attualmente in atto è totalmente inaccettabile dal punto di vista del diritto internazionale [19]: nel quadro dell’attuale accordo, che definisce il Mar d’Azov un mare interno, entrambe le parti possono permettersi praticamente tutto [20].
È alla luce di queste considerazioni che un processo di “internazionalizzazione” [21] e normalizzazione del conflitto appare oggi inevitabile: scongiurare il collasso di una situazione potenzialmente catastrofica alle porte dell’Europa diventa quindi un’esigenza non più rimandabile.
Note:
[1] Bettiol C., “Ucraina: Il Mar d’Azov oggetto di tensioni con Mosca. Un allargamento del conflitto all’orizzonte?”, 18 giugno 2018, East Journal, http://www.eastjournal.net/archives/90838.
[2] Sono fra i porti più importanti dei rispettivi paesi e sbocchi fondamentali alle loro economie. Per ulteriori approfondimenti è possibile consultare Mussetti M., “Mariupol, città strategica sul Mar d’Azov”, 29 aprile 2015, Il Caffè Geopolitico, https://www.ilcaffegeopolitico.org/28298/mariupol-citta-strategica-sul-mar-dazov.
[3] Fino all’accordo del 2003. il principale era il Tratto di amicizia russo-ucraino del 1997, che oltre a prevedere una non troppo chiara spartizione delle acque del Mare d’Azov, stabiliva la separazione della flotta sovietica del Mar Nero tra la Russia (82%) e l’Ucraina (18%). Concedeva inoltre alla Russia, in cambio dell’annullamento della maggior parte del debito ucraino e di forniture energetiche a prezzi vantaggiosi, il contratto di locazione per la flotta a Sebastopoli per 20 anni, un termine esteso fino al 2042 nel 2010. AdnKronos, 1997, http://www1.adnkronos.com/Archivio/AdnAgenzia/1997/05/31/Esteri/RUSSIA-UCRAINA-FIRMATO-IL-TRATTATO-DI-AMICIZIA_172400.php.
[4] La disputa ha avuto origini per questioni amministrative: le autorità russe sostenevano infatti che il trasferimento della Crimea alla Ucraina nel 1954 riguardasse le sole parti continentali della penisola. Woronowycz R., “Russian-Ukrainian dispute over Tuzla escalates”, 2003, Kyiv Press Bureau, http://www.ukrweekly.com/old/archive/2003/430301.shtml
[5] Acque territoriali su cui vengono applicati i principi delle acque interne. Per approfondire è possibile consultare Allen C., “The Salish Sea Boundary Straits: ‘Historic Internal Waters’ or Territorial Seas?”, 29 agosto 2017, University of Washington, e Wilson D., “Strait to war? Russia and Ukraine clash in the Sea of Azov”, 02 ottobre 2018, European Council of Foreign Relations, https://www.ecfr.eu/article/commentary_strait_to_war_russia_and_ukraine_clash_in_the_sea_of_azov.
[6] Dal punto di vista del diritto internazionale, l’intera vicenda è piuttosto complessa. Dati gli sviluppi degli ultimi anni, alcuni nazionalisti ucraini hanno invocato una recessione dell’accordo del 2003, rivendicando l’accesso esclusivo alla porzione di mare compresa entro le 12 miglia marittime, come stabilito dalla Convenzione di Montego Bay del 1982.
[7] Samus M., “Why Russia considers the Sea of Azov its own and what Ukraine should do about it”, 25 ottobre 2018, Unian Information Agency, https://www.unian.info/politics/10142348-why-russia-considers-the-sea-of-azov-its-own-and-what-ukraine-should-do-about-it.html.
[8] Iacch F., “La Russia rinuncia alle portaerei ma pensa a nuovi vettori leggeri”, 25 agosto 2017, http://www.occhidellaguerra.it/la-russia-rinuncia-alle-portaerei/.
[9] È un doppio ponte stradale e ferroviario costruito unilateralmente dalla Federazione Russa sullo Stretto di Kerch, che unisce la penisola di Taman’ nel Territorio di Krasnodar (Russia) e la penisola di Kerch in Crimea (territorio ucraino de jure ma russo de facto). Per avere una comprensione dell’importanza geopolitica del territorio attorno al ponte è necessario tenere a mente che sul versante orientale dello stretto di Kerch, nella regione russa di Krasnodar, si trovano città come Novorossiysk e Sochi. Novorossiysk è un punto fortemente strategico: è infatti il più grande porto commerciale della Russia sul Mar Nero, all’incrocio dei principali oleodotti e gasdotti tra il Mar Nero e il Mar Caspio. Lo Stretto di Kerch ha un ruolo strategico: costituisce un passaggio dal Mar Nero alle maggiori vie d’acqua della Russia, tra cui il Don e il Volga, a loro volta collegati da canali fluviali.
[10] L’accordo del 2003 prevedeva in effetti il diritto di condurre controlli a campione sulle navi in transito, ma non certo la facoltà, peraltro in maniera unidirezionale, di un paese di imporre un vero e proprio regime di ispezioni. Ispezioni che possono bloccare anche per diversi giorni il transito di un mercantile. “Terrorismo “marittimo”: la situazione nel mare d’Azov”, 04 Settembre 2018, Sputnik, https://it.sputniknews.com/economia/201809046449558-terrorismo-marittimo-mare-azov/.
[11] Per avere dati esaustivi circa l’importanza economica della questione, è possibile consultare Sasha D., “The impact of the new Kerch strait bridge on Ukraine’s trade”, German Advisory Group in cooperation with the IER Kyiv, febbraio 2018, https://www.beratergruppe-ukraine.de/wordpress/wp-content/uploads/2018/03/PB_02_2018_en.pdf, e Datskevych N., “Ukraine’s path to economic powerhouse runs through its rivers and sea ports”, Kyiv Post, giugno 2018, https://www.kyivpost.com/business/ukraines-path-to-economic-powerhouse-runs-through-its-rivers-and-sea-ports.html.
[12] Per ulteriori informazioni, è possibile consultare Bartoccini D., “L’Ucraina pensa a una base navale con l’appoggio degli Stati Uniti”, 22 Settembre 2018, Gli Occhi della Guerra, http://www.occhidellaguerra.it/ucraina-lappoggio-usa-kiev-pensa-base-navale-strategica/.
[13] Le acque territoriali ucraine sono state ridotte della metà. Zola M., “Ucraina: I russi si stanno annettendo la Crimea”, 2018, East Journal, http://www.eastjournal.net/archives/92258.
[14] Non potrebbe essere altrimenti: salvo impreviste quanto avventate prove di forza da parte dell’amministrazione a stelle e strisce, l’invio di contingenti numerosi e pesantemente armati concorrerebbe senza dubbio a far aumentare vertiginosamente la tensione fra Washington e Mosca.
[15] Nel 2016 l’Ucraina aveva già denunciato le violazioni russe dell’UNCLOS (United Nations Convention on the Law of the Sea). Wilson D., “Strait to War? Russia and Ukraine Clash in the Sea of Azov”, 02 ottobre 2018, European Council of Foreign Relations, https://www.ecfr.eu/article/commentary_strait_to_war_russia_and_ukraine_clash_in_the_sea_of_azov
[16] L’accordo di amicizia del 1997 non è stato rinnovato.
[17] In tal senso, le voci in disaccordo non mancano. Secondo quanto dichiarato dall’ex Comandante e Vice Ammiraglio della Marina Ucraina Sergey Gaiduk, oltre che di natura economica il danno che la Russia intende arrecare all’Ucraina potrebbe essere di natura socio-politica. Paralizzare i maggiori porti del paese significherebbe creare una recessione economica con il conseguente licenziamento di moltissimi lavoratori. Disordini e proteste sociali potrebbero favorire future operazioni russe nella regione. https://it.sputniknews.com/mondo/201808276418213-comandante-Ucraina-russia-rivolte/.
[18] Il costo è stato di circa 228 miliardi di Rubli, grosso modo pari a 3,2 miliardi di Euro. “Bridge connects annexed Crimea to Russia – and Putin to a dream dating back to the last Tsar”, 2018, South China Morning Post, https://www.scmp.com/news/world/russia-central-asia/article/2146158/bridge-connects-annexed-crimea-russia-and-putin-dream.
[19] Samus M., “Why Russia considers the sea of Azov its own and what Ukraine should do about it”, 25 ottobre 2018, Unian Information Agency, https://www.unian.info/politics/10142348-why-russia-considers-the-sea-of-azov-its-own-and-what-ukraine-should-do-about-it.html.
[20] Fu infatti l’Ucraina a fermare, nel marzo scorso, il peschereccio “Nord” accusando il suo capitano di aver visitato clandestinamente la Crimea “con l’intento di danneggiare gli interessi nazionali”. Mosca, dal canto suo, ha poi definito le azioni di Kiev alla stregua di “terrorismo marittimo”, intensificando a dismisura i controlli frontalieri sulla propria sponda del mar d’Azov. “Terrorismo “marittimo”: la situazione nel mare d’Azov”, 04 settembre 2018, Sputnik, https://it.sputniknews.com/economia/201809046449558-terrorismo-marittimo-mare-azov/ .
[21] Si intenda da un punto di vista del diritto internazionale e non ovviamene un’estensione del conflitto.
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