Ritorno al passato. La 2017 National Security Strategy e la teoria dei conflitti tra grandi potenze

Nel giro di tre decenni il sistema internazionale è passato da unipolare a multipolare. La cosiddetta Dottrina Trump, contenuta nella National Security Strategy del 2017, vede concretamente la possibilità di un ritorno ai conflitti tra grandi potenze, abbandonando il rafforzamento del multilateralismo e della cooperazione internazionale.

Esistono momenti della storia così eclatanti, pieni di forza e di eccitazione che non possono fare altro che rimanere indelebili nelle menti e nelle coscienze di intere civiltà. Gran parte delle generazioni adulte occidentali è cresciuta con una sola certezza e diversi modi con cui affrontarla: il conflitto bipolare e le Dottrine in tema di politica estera definite dai vari Presidenti statunitensi, precisate nelle National Security Strategies (NSS) nel corso dei singoli mandati. Pochi mesi prima del crollo del blocco sovietico nel 1989, Fukuyama predisse la fine del sistema comunista e la nascita di un nuovo ordine mondiale fondato sui principi e valori del liberalismo politico e del liberismo economico, ma soprattutto la fine dei conflitti tra le grandi potenze con conseguente generale pacificazione del sistema internazionalei.

Dopo più di tre decenni dall’uscita del celebre volume The End of History, si può veramente dire che sia così? In questo lasso di tempo esperti, accademici e istituzioni hanno prodotto una vasta letteratura sulla c.d. Teoria del Conflitto e Conflict Resolutionii. Tuttavia, è ancora presto per trovare risposte certe. Quella che viene definita l’era unipolare, sotto bandiera egemonica statunitense, infatti, potrebbe essere durata solo pochi anni. Già nel decennio successivo alla pubblicazione del libro appena citato cominciava a prospettarsi un sistema internazionale molto più frammentato caratterizzato dall’ascesa di nuove grandi potenze economiche e militari, come la Cina, l’India, il Brasile e la nuova Russia di Putin.

Gli Stati Uniti hanno sempre avuto una tendenza psicologica a cercare un nemico comune da combattere, ben esemplificata dalla classica contrapposizione Us vs. Themiii. Durante la fase unipolare sembrava reggere l’idea che nessuno avrebbe più potuto competere con la super potenza americana. La storia ci sta dimostrando che non è veramente così. Tra i vari potenziali foreign enemies, uno spicca tra tutti: la Cina di Xi Jinping. Dal momento in cui è entrata nel capitalismo globale, Pechino ha fatto passi da gigante, e la vera svolta è avvenuta proprio all’apice della potenza americana. L’apertura del mercato cinese a quello mondiale ha spalancato, infatti, il potenziale economico dell’impero millenario, trasformandolo nel possibile nuovo egemone economico già entro il 2021iv (anche a causa dell’attuale recessione dovuta alla mala gestione della pandemia da parte del Presidente Trumpv).

Considerando ciò, non è un caso se – con l’insediamento di Trump alla Casa Bianca – le regole del gioco diplomatico sono conseguentemente cambiate. L’America deve tornare grande di nuovo e questo può avvenire soltanto con una NSS adeguata. La cosiddetta Dottrina Trump venne inserita all’interno della NSS del 2017vi, a un anno di distanza dal suo insediamento. Secondo la Strategia, quattro sono i paesi sui quali gli USA dovrebbero porre particolare attenzione, specie in tema di revisione delle relazioni diplomatiche, economiche e militari, essendo di intralcio agli interessi strategici americani: Russia, Iran, Corea del Nord e, appunto, Cinavii. L’approccio statunitense con i primi tre Stati è stato piuttosto vario e mai uguale. Ad esempio, per quanto riguarda i rapporti con Mosca, di recente è stata palesata l’idea di ridurre il numero di truppe americane in Germania – sotto bandiera NATO – per essere spostate in Polonia presso il confine con la Russiaviii. Con l’Iran, invece, si annovera il decisivo ritiro dal JCPOAix mentre, con la Corea del Nord, il primo incontro ufficiale tra Presidenti dalla fine della Guerra di Corea, terminata nel 1953x. In ogni caso, con l’uscita del NSS, gli USA si sono avviati verso una conduzione di queste relazioni sempre più incline all’intransigenza. Ad esempio, nei confronti dei tre sopracitati paesi – percepiti come minaccia concreta alla sicurezza e al progresso USA – vengono previsti aumenti alla spesa militare per contrastare lo sviluppo missilistico e di armi di distruzione di massaxi. Tuttavia, niente di tutto ciò è comparabile con il nuovo corso relativo ai rapporti con la Cina.

Sin dal suo insediamento, infatti, il Presidente Trump ha espresso dubbi sulla gestione delle relazioni con Pechino da parte dei suoi predecessori. Anche se all’inizio del suo mandato si stava profilando la conferma dello status, le crescenti accuse di furto di proprietà intellettuali statunitensi per miliardi di dollari – specie nei settori informatico e di data collectionxii – hanno fatto sì che venisse posta maggiore enfasi nei confronti dell’ex Impero di Mezzoxiii. In questo senso, gli USA prendono seriamente in considerazione l’ipotesi che possa presto scattare con il gigante cinese la cosiddetta Trappola di Tucidide, ovvero uno scontro armato per la determinazione del ruolo egemone sul futuro scenario mondiale. In previsione di ciò, a partire dal 2018 il Presidente ha cominciato ad adottare la strategia a lui più congeniale: la guerra commerciale. In quest’ottica vanno lette le minacce di dazi fino a 500 miliardi di Dollari per coprire quasi l’intero import cinesexiv, le campagne contro il gigante Huawei e il nascente 5Gxv, il supporto alle proteste di Hong Kong a fine 2019xvi e, soprattutto, la recente chiusura del consolato cinese a Houston accusato di spionaggio e ulteriore furto di proprietà intellettualexvii.

Ovviamente, in questi due anni non sono mancate ritorsioni da parte cinese. Il risultato è una guerra commerciale e psicologica che potrebbe non aver fine se non cambierà il Presidente alle prossime elezioni, se la diplomazia non riuscirà a trovare punti di incontro tra le parti, oppure se non si verificherà nuovamente uno spostamento di potenza verso Est. Nel corso dei quattro anni di Presidenza Trump abbiamo imparato che niente è dato per scontato e che ogni situazione o evento può modificare le relazioni tra Stati in maniera irreversibile. Il fattore dell’imprevedibilità delle reazioni statunitensi, così come la sempre maggior risolutezza di Pechino, non permetterà la rifioritura dei rapporti tra le due potenze.

Confermare quest’ultima ipotesi è pressoché impossibile al momento. Tuttavia, dovendo considerare la competizione tra grandi potenze, si tratta di un’opzione che non può essere scartata quando la principale potenza mondiale – gli USA – ne è convinta. La strategia del ritorno al passato – spirito conflittuale con i propri alleati e potenziali rivali internazionali, e isolazionismo – ha già dimostrato di poter apportare grandi benefici all’economia statunitensexviii. Ma quali saranno gli effetti durante la pandemia attualmente in corso? Avrà la stessa efficacia? Forse le elezioni di questo novembre ci sapranno dire in che modo questa End of History avverrà.

A cura di Cristian Morelli

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