MASSIMO ANTONAZZI & DONATELLA DANIELA ACQUATI | Il negoziato è una attività ineliminabile per ogni individuo sia nell’ambito delle relazioni istituzionali che nelle relazioni sociali e personali. Ogni volta in cui due o più parti si trovano di fronte a divergenze e non ritengono di dar luogo a un conflitto si procede a un negoziato, che può essere definito, quindi, come: il processo attraverso il quale due o più parti, che non sono in grado o non vogliono prevalere una sull’altra, tentano di raggiungere un accordo. Si tratta di un processo euristico, connotato da un certo grado di multilateralità, attraverso il quale le parti, consapevoli della conflittualità dei propri interessi, si impegnano nell’individuazione di una soluzione accettabile per entrambe.
L’accordo, in realtà, è il risultato di dinamiche complesse – che potranno oscillare da un’accesa competizione a una stringente cooperazione – e potrà risolversi nella mutua soddisfazione o, far prevalere esclusivamente l’interesse di una sola parte. Un percorso – quello dei negoziatori – molto complesso. Infatti, elementi psicologici o una strategia sbagliata possono costituire degli ostacoli insormontabili e pregiudicare il raggiungimento di un accordo o comunque renderlo assai complicato. In tal senso le trattative in ambito internazionale o meglio tra soggetti appartenenti a culture diverse, hanno da sempre rappresentato una sfida complessa richiedendo uno sforzo di comprensione diverso rispetto a quello di chi intraprenda negoziazioni nazionali. Il negoziatore non può, infatti, cercare solamente di immedesimarsi in chi ha di fronte per ricostruire i suoi ragionamenti e calcoli, ma deve allo stesso tempo appropriarsi del suo sistema culturale e di valori, per interpretare correttamente i messaggi ricevuti nella contrattazione.
Affinché le relazioni internazionali e le attività che ne scaturiscono possano essere coordinate da un efficace processo negoziale, è opportuno, perciò, che si creino quelle condizioni di risonanza culturale, ovvero quel particolare stato di armonia relazionale generato da rappresentazioni cognitive compatibili e finalizzate a obiettivi soddisfacenti per entrambe le parti in gioco.
Va detto che la ricerca sul negoziato internazionale, fino alla fine della Seconda guerra mondiale, era stata principalmente al centro del lavoro dei rappresentati diplomatici con una ripresa dell’interesse scientifico intorno agli anni ’60, grazie al lavoro accademico di Fred Charles Iklé – sociologo e politologo statunitense di origini svizzere, nonché autore del libro “Every War Must End” – e Howard Raiffa – professore emerito di Economia Manageriale alla Harvard Business School e autore del libro “The Art and Science of Negotiation”. Successivamente, con la caduta del muro di Berlino nel 1989, la definitiva affermazione della globalizzazione e l’intensificazione della mobilità delle merci e delle informazioni, gli stati nazionali cominciarono a condividere il palcoscenico con una varietà di altri attori. In tal modo, la negoziazione internazionale, una volta sotto il controllo dei rappresentanti ufficiali dello Stato, iniziò a spostarsi verso quella che George Kennan, diplomatico statunitense conosciuto come “il padre della politica del containment”, descrisse per primo come la “diplomazia senza diplomatici”. In tale contesto, la scienza della negoziazione, a partire dalla fine degli anni 80, nel tentativo di dare risposte efficaci alle crescenti criticità presenti nei negoziati internazionali si è avvalsa degli studi in materia di comunicazione interculturale che insieme alla psicologia cognitiva e le neuroscienze contribuirono a codificare le più moderne strategie negoziali.
La comunicazione interculturale è la disciplina che si occupa dell’analisi dell’interazione comunicativa tra rappresentanti di culture diverse, al fine di migliorarne la qualità e l’efficienza e può essere definita come uno scambio di informazioni tra persone che appartengono a gruppi o categorie sociali che sono portatori di culture almeno in parte dissimili. La cultura si comporta come un filtro attraverso il quale leggiamo e interpretiamo il mondo attorno a noi: membri di un medesimo gruppo culturale hanno una rappresentazione cognitiva implicita e condivisa.
L’analisi delle differenze culturali si è concentrata anche su un’area specifica di applicazione, quella organizzativa, aziendale, del business o “corporate”. La trattazione della comunicazione interculturale nelle strutture organizzative complesse ha fornito modelli e strumenti interpretativi di eccellente qualità utili per orientare in modo efficace la gestione delle divergenze interculturali che possono nascere al tavolo delle trattative. In tal senso i cinque studi principali (E. T. Hall, F. R. Kluckhohn e F. L. Strodtbeck, G. Hofstede, F. Trompenaars, Progetto GLOBE) forniscono schemi di comparazione interculturale passando dalla semplice osservazione delle differenti grammatiche culturali, all’elaborazione di sistemi di rilevazione statistica e misurazione delle variabili culturali.
È evidente che l’acquisizione di queste informazioni nella fase strategica di un negoziato internazionale, pur nella loro staticità, rappresentano, da un lato, un valido strumento per non commettere errori banali, dall’altro, ci offrono l’opportunità di costruire profili negoziali dei nostri partner. La declinazione dei risultati scientifici della comunicazione interculturale organizzativa all’interno dei negoziati con soggetti appartenenti a culture diverse è, quindi, parte integrante e distintiva dell’approccio professionistico alla negoziazione. L’esempio più banale in questo senso può essere quello relativo all’influenza che l’appartenenza ad una determinata cultura genera sul protocollo. In alcuni casi, la relazione può essere tipicamente informale mentre in altri può essere maggiormente formale. Ad esempio, in alcuni paesi i biglietti da visita hanno un elevato valore quando le parti si presentano reciprocamente. I negoziatori che dimenticano i loro biglietti da visita, o che trattano con poca cura i biglietti ricevuti stanno in qualche modo rompendo il protocollo atteso secondo quella cultura rischiando di generare fin da subito comportamenti posizionali e ostruzionistici. In questo senso per negoziare in contesti internazionali è indispensabile dedicare tempo ed energie alla analisi del nostro interlocutore costruendo strategie che possano rispondere adeguatamente alle numerose criticità che un tale contesto ci sottopone.
BIBLIOGRAFIA:
▪ Amira, G., The World of Negotiation, World Scientific Publiscing, Singapore, 2016.
▪ Antonazzi, M., Il Negoziato Psicologico, Eurilink University Press, Roma, 2017.
▪ Baraldi, C., Comunicazione interculturale e diversità, Carocci, Roma, 2003.
▪ Benjamin R.D., The Natural History of Negotiation and Mediation: The Evolution of Negotiative Behaviors, Rituals, and Approaches, Oakland, 2012.
▪ Giaccardi C., La comunicazione interculturale, Il mulino, Bologna, 2005.
▪ Geert Hofstede: Culture’s Consequences: International Differences in Work Related Values: 1980, Beverly Hills/London: Sage.
▪ Raiffa H., The Art and Science of Negotiation, Cambridge University Press, Cambridge, 1982,
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